Non c’è bisogno della scienza, del meteo o della statistica. Basta la cronaca per capire che quando gli “eventi eccezionali” si ripetono più volte, e con sempre maggiore intensità, cessano di essere eccezionali. Perciò anche il linguaggio della politica dovrebbe adeguarsi alla “straordinaria normalità” di temporali, nubifragi, chicchi di grandine pesanti come palle di tennis che scatenano il finimondo in piena estate.
Dunque, si cancelli la parola “emergenza” dal vocabolario del governo e si aggiunga la voce “maltempo” alla prossima legge di bilancio, se davvero si vuole “mettere in sicurezza il territorio”, come si ripete con puntuale, ma impotente cadenza all’indomani delle tempeste. E quindi si ripete da anni, posto che le tempeste fuori stagione sono ormai regola in tutta Italia.
Con l’ulteriore beffa che se al Nord si muore, purtroppo letteralmente, di pioggia nelle vesti terrificanti di uragano, al Sud si muore di caldo col manto asfissiante degli incendi. Milano affoga, Palermo brucia.
Il dissesto idrogeologico del nostro amato, ma bistrattato Paese è sotto gli occhi di tutti e ha poco senso discutere -sempre e rigorosamente il giorno dopo-, se morti, feriti, danni ingenti, interruzione della corrente siano frutto “soprattutto” oppure “anche” del cambiamento climatico che si accanisce sulla storica mancanza di prevenzione a salvaguardia dell’ambiente e delle nostre città.
Ciò che risulta inconcepibile ora e subito è che una sedicenne, Chiara Rossetti, possa morire per un albero caduto sulla tenda in cui si trovava nel campo scout di Corteno Golgi nel bresciano. Che quattro province del Veneto, e specie nel veronese, registrino decine di feriti per venti fortissimi e grandinate. Che una Regione-locomotiva come la Lombardia debba chiedere lo stato di emergenza a causa dei “fenomeni estremi”.
Ma l’allerta arancione e il grande impegno testimoniato dalla Protezione civile dovrebbero essere l’atto conclusivo, e non iniziale, di un lungo e strutturale percorso istituzionale e politico che metta l’Italia, se non al riparo dai violenti avvertimenti che il clima ci manda persino d’estate, almeno nella migliore possibilità di difendersi.
Evitare i temporali è impossibile, ma evitare i suoi danni è doveroso per un Paese che proprio ai piani, e in particolare al Piano nazionale di ripresa e resilienza, affida il suo destino.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi