Solo nei Paesi autoritari politici e magistrati vanno d’amore e d’accordo. Dove, invece, regna la separazione dei poteri, radice di democrazia e garanzia che la giustizia è uguale per tutti, è naturale la diversità di idee fra chi è chiamato a fare le leggi e chi ad applicarle.
Ma se c’è una lezione che si può trarre dalla guerra dei trent’anni fra Silvio Berlusconi e le toghe, specie “rosse” come lui le chiamava, è che le istituzioni e la società nulla hanno da guadagnare dall’ostilità permanente e preconcetta fra governo e magistratura passando dal Parlamento.
Sembra averlo ora compreso Giorgia Meloni, la presidente del Consiglio che, nonostante la sua storia personale e politica di una destra “legge e ordine”, era anche lei “scesa in campo” per difendere gli esponenti del suo partito e del suo governo tirati in ballo in inchieste per le quali l’obbligo della presunzione d’innocenza degli indagati s’incrocia con i fatti di cronaca riferiti. E perciò la polemica politica è inevitabile.
La Meloni adesso assicura che “non c’è nessuno scontro con la magistratura” e incontra il capo dello Stato, Sergio Mattarella, che è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura, con ciò confermando la comune volontà istituzionale di abbassare ogni tensione. Ma non si può dire che tutta la maggioranza proceda nella stessa direzione. E’ come se sulla giustizia ci fossero due piani di interventi.
In quello alto il centrodestra discute di “separazione delle carriere”, di “rimodulare il concorso esterno in associazione mafiosa” (parole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sconfessato però da Palazzo Chigi), di rivedere il reato di traffico di influenze e altre questioni molto discutibili. Perciò degne di un confronto da Accademia in punta di diritto.
Invece nel piano basso gli atti contano più delle teorie, e i cittadini chiedono tempi rapidi per i processi e certezza della pena. Il signore derubato e la signora scippata vorrebbero tornare a credere che valga la pena denunciare l’impunità dilagante e mortificante.
C’è una grande questione di “ingiustizia ingiusta” in Italia che la caotica riforma-Cartabia non ha contribuito a risolvere, e che la riforma-Nordio ora alla firma del Quirinale farebbe bene a prendere di petto.
Lasciando magari in attesa il piano A dei grandi principi per concentrarsi subito sul piano B dei diritti dei cittadini e dei doveri dei loro governanti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi