Al padiglione 42 dell’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone ieri mattina Silvio Berlusconi ha finito d’espiare la pena. Il leader di Forza Italia ha terminato il suo impegno con gli anziani, anche se giura che continuerà ad aiutarli, perché l’esperienza “è stata toccante”. Resta il fatto che l’un tempo Cavaliere che scendeva in campo per “impedire la vittoria della sinistra”, e che per quattro volte è stato presidente del Consiglio e per svariate altre leader dell’opposizione, da lunedì 8 marzo torna in pista. Certo, moltissimo è cambiato da quel 27 marzo 1994 che modificò il corso politico dell’Italia anche con la nascita del bipolarismo e di una pasticciata tendenza al maggioritario dopo mezzo secolo di logorato sistema proporzionale. Tutto cambia, e ventun anni dopo, Berlusconi ha quasi settantanove anni. E’ stato inoltre condannato per frode fiscale (da ciò il suo “affidamento” ora concluso). Oggi è attore non protagonista di uno schieramento di centro-destra diviso perfino sull’opportunità di appoggiare o meno il governo di Matteo Renzi, che è il leader del Pd, cioè dell’altra barricata. Tanta acqua è passata sotto i ponti e lo stesso scenario è diventato tripolare con Beppe Grillo terzo incomodo.
Ma proprio i numerosi e sempre uguali precedenti di chi lo dava immancabilmente per finito, insegnano che sarebbe un errore considerare archiviato il “politico” Berlusconi. Anche le inchieste giudiziarie che riesplodono con intercettazioni e giudizi o verdetti in arrivo (processo-Tarantini e sentenza della Cassazione sul caso-Ruby), poco potranno influire sul ruolo del capo di Forza Italia e sull’opinione dei suoi sostenitori. I quali, come ieri e come sempre, già gridano al sospetto dell’accanimento giudiziario contro il loro leader, nel momento in cui torna a essere un riferimento politico. Che lo sia, d’altra parte, è l’innegabile frutto dei numeri (sia pure tallonato da Matteo Salvini, Berlusconi gode ancora di un discreto consenso elettorale), e del riconoscimento altrui. Renzi ha appena spiegato d’essere rimasto deluso dal comportamento del suo interlocutore sulle riforme, confermando che tale lo considera per ragioni “politiche” e non numeriche, visto che il Pd è il partito più forte anche per quantità di eletti. Paradossalmente è il deserto del dopo-Berlusconi nel centro-destra ad aver creato le condizioni dell’imminente ritorno. E anche se i propositi, stavolta, dovranno essere molto diversi rispetto a quelli del ’94 e successive “discese”, il Berlusconi di oggi può farsi forte della solitudine che tanto ha contribuito ad alimentare.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi