Quest’anno la lingua italiana ha compiuto 1.063 anni: come li porta?
Nella prima intervista di Paolo D’Achille, nuovo presidente dell’Accademia della Crusca, che è il più antico e competente punto di riferimento per l’italiano nella Repubblica e nel mondo, la risposta è stata questa: “Li porta bene, i suoi più di mille anni. Ma deve puntare sulla continuità, che è l’arma vincente”.
Per rinsaldare quella continuità che per esempio consenta a noi contemporanei di apprezzare i libretti dei bellissimi melodrammi italiani e universali, il professor D’Achille, ordinario di linguistica presso l’Università di Roma Tre e già allievo di Francesco Sabatini -storico presidente della Crusca-, punta sull’uovo di Colombo: la scuola.
E’ la scuola che deve formare generazioni capaci di continuare a comprendere, come accade pur con difficoltà, i canti medievali della Divina Commedia, cioè l’italiano letterario di sette secoli fa, e la cui bellezza, proprietà e sonorità affascina studiosi europei d’ogni lingua, e in particolare del mondo tedesco. Un mondo intimamente legato -prima e dopo il celebre “Viaggio in Italia” di Goethe- alla nostra così antica e moderna cultura del parlare e dello scrivere.
Secondo il professor D’Achille, subentrato a Claudio Marazzini al termine dei mandati previsti, dovranno essere almeno tre i grandi obiettivi della Crusca per valorizzare la lingua di Dante, dell’Italia e di quanti (oltre 200 milioni di persone nel mondo) orbitano nel pianeta dell’italofonia.
Il primo traguardo è istituzionale: sollecitare il Parlamento a inserire tra i principi della Costituzione che “la lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano”. Non è un concetto nuovo, visto che è già sancito da sentenze della Corte Costituzionale e presente negli statuti speciali, come quello del Trentino-Alto Adige. Ma tale riferimento, oltre che metterci sullo stesso piano di altri 180 Paesi che tutelano la loro lingua nazionale fin dalla Costituzione, e di tutti i Paesi europei di lingua neo-latina che quel riferimento già l’hanno, rafforzerebbe “il diritto di conoscere e usare la nostra lingua anche per i nuovi italiani”, come ha precisato il presidente della Crusca con spirito di attualità.
Il secondo aspetto per festeggiare il compleanno di una lingua di cui il primo e celebre documento con una frase in volgare che testimonia la nascita della lingua italiana -la “Carta Capuana”- risale al 960, è comunicativo: come frenare l’abuso grottesco e provinciale degli anglicismi. D’Achille ha rivelato che la Crusca è sommersa di richieste di persone che chiedono l’equivalente parola in italiano di pseudo-anglicismi nostrani, tipo jobs act, green pass, stepchild adoption. “Nella comunicazione istituzionale e quando ci si rivolge a tutti, gli anglicismi fanno molto male”, ammonisce il professor D’Achille. “Perché non si tiene in considerazione quella parte, molto ampia, della popolazione che quelle parole non capisce”.
Ultima missione della Crusca: bacchettare il cattivo italiano dei legislatori e dei burocrati, a cui il docente di linguistica dà l’“insufficienza piena”.
Ma così come l’Accademia ha insegnato alle Ferrovie dello Stato che “operazioni di controllo” è meglio di “controlleria”, e che “viaggiatori” è preferibile a “clienti”, anche la politica farebbe bene a rivolgersi a chi conosce il buon italiano per scrivere una legge comprensibile ai più. Con tutte le novità anche al femminile che dal presidente del Consiglio -o dalla presidente del Consiglio- in giù richiamano al buon uso delle parole.
Perché le parole non sono pietre, sono meraviglie. E la magnifica lingua italiana di quelle pietre preziose non può fare a meno, 1.063 anni dopo.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige