Non è una riedizione del ’68 né una rimasticatura del ’77. La protesta degli studenti, che si è ormai estesa a tutte le città universitarie d’Italia, di “politico” ha solo il più nobile e importante significato di ragazze e ragazzi in lotta su un tipico tema di vita pubblica: come far valere una questione giusta posta nel modo giusto, anche accampandosi in tenda davanti alle Università, pur di denunciare la mancanza di alloggi e del caro-affitto per chi ha scelto di completare il ciclo di studi lontano dal luogo di residenza.
E poche sono le attenuanti per questo governo (che infatti ha subito sbloccato 660 milioni per gli alloggi universitari) e per i precedenti nell’aver troppo lungo dormito sul problema. Basti dire che il nostro Paese è uno fra quelli che in Europa meno assicura un tetto a chi studia: il 5 per cento dei posti letto per gli universitari rispetto al 13 garantito in Germania o Francia. Così come ha poco senso stabilire, oggi, chi ha fatto peggio nel non fare, se le amministrazioni di centrosinistra nelle metropoli oppure quelle di centrodestra nelle città che sono diventate poli d’attrazione anche per la presenza di Università. Qui, invece, si tratta di intervenire con intese necessarie -anziché con un ping-pong di accuse-, fra ministeri preposti e istituzioni locali coinvolte. Intervenire per destinare risorse e usare i fondi del piano nazionale di ripresa, che prevede ben 60 mila posti letto nelle residenze universitarie per i fuori sede entro il 2026. Andranno ad aggiungersi agli attuali 40 mila e insufficienti posti.
Ma bisogna intervenire anche sfruttando gli immobili inutilizzati a beneficio degli studenti per recuperare in fretta il tempo perduto.
Puntare a più che raddoppiare le case-studenti significa non soltanto assicurare condizioni di parità reale a tutti gli studenti, a prescindere dal luogo di provenienza e dalle possibilità economiche, ma anche arricchire i luoghi universitari. Arricchirli in ogni senso, sia coltivando il valore della ricerca e della conoscenza che gli studi infondono sempre, sia facendo muovere l’economia sull’onda della presenza e delle quotidiane esigenze di giovani impegnati nella loro crescita e formazione. Di tutto ciò che una vita universitaria può offrire in una città a misura anche di studente.
Non è dunque una spesa, bensì un investimento immaginare di dare una casa a chi non può permettersi di pagare affitti, né di passare in treno, anziché in aula, il maggior tempo della sua giornata di studi.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi