Con 59 siti considerati “patrimonio dell’umanità”, da tempo l’Italia è stata riconosciuta dall’Unesco prima Nazione al mondo per cultura, arte e bellezza. Eppure, l’istituzione del ministero che si chiamava dei Beni culturali e Ambientali risale solo al 1975. Ci sono voluti la scossa e l’amore dichiarato dagli altri nel corso di tanti anni, perché anche noi ci accorgessimo con grave ritardo del patrimonio unico che avevamo in casa, e pensassimo di doverlo tutelare al massimo livello.
La stessa cosa è successa con l’altro e ancor più inesauribile tesoro di cui disponiamo, e che è riassunto dall’espressione “made in Italy”, solo da quattro mesi aggiunta al ministero delle Imprese.
Tale formula ha il compito di ricordarci il valore di un Paese che rappresenta la seconda industria manufatturiera d’Europa e una delle sette potenze economico-finanziare del pianeta. Dopo Coca-Cola e Visa il “made in Italy” è il terzo marchio al mondo più conosciuto, anche se marchio non è. Basterebbe questo per comprendere la qualità delle quattro “A”, che classificano i settori trainanti nell’esportazione dell’eccellenza italiana: abbigliamento, alimentare, arredo e automazione. Dalla moda all’infinita varietà dei prodotti non solo mediterranei, dalla progettazione alla ricerca creativa e industriale non c’è ambito in cui l’Italia non primeggi. Lo stesso evento internazionale del Vinitaly è nato già nel 1967. Eppure, solo da pochi anni la politica ha scoperto la forza del “made in Italy” con tutti i suoi risvolti economici e strategici.
Oggi non c’è più bisogno di convincere nessuno sull’importanza del patrimonio. Ma sono cambiati gli obiettivi e le modalità per valorizzarlo.
Difendere le eccellenze nazionali significa fare squadra e fare sistema.
In Europa non importa quale governo abbia nominato i commissari italiani o quali siano i partiti più forti. Conta che agiscano insieme. Una lezione anche casalinga: sulla tutela del “made in Italy” non dovrebbero esistere maggioranze né opposizioni, ma legislatori capaci di trovare soluzioni per difendere il nostro tesoro. Anche dalle contraffazioni: un terzo dei prodotti etichettati nel mondo come italiani, in realtà sono ingannatrici imitazioni.
Meglio tardi che mai: la politica s’è svegliata. Ma ora deve imparare ad anteporre l’interesse nazionale, che è anche internazionale, alle sue solite divisioni e contrapposizioni fondate troppo spesso sul nulla.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi