La lunga marcia dell’autonomia fa un altro passo e il testo del governo va all’esame Parlamento: avrà un anno di tempo per approvarlo.
Per la seconda volta il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al disegno di legge predisposto dal ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, già esaminato in precedenza, ma ora rifinito nei dettagli.
“Il mio obiettivo è far correre il nostro Paese come un treno ad alta velocità”, spiega Calderoli. “Governo coraggioso, autonomia è responsabilità”, commenta Luca Zaia, il presidente della Regione, il Veneto, che da tempo richiede nuove competenze.
Adesso il principale ostacolo non è giuridico, bensì politico: far procedere il provvedimento non solo con l’assenso dell’intera maggioranza, che c’è, ma anche con il maggior consenso possibile dell’opposizione, che non c’è.
Se nel primo caso le diversità tra i fautori del “presidenzialismo innanzitutto”, cioè Fdi e Forza Italia, e l’autonomismo della Lega sembrano superate all’insegna del percorso contestuale fra le due proposte di rinnovamento dello Stato, nel secondo s’annunciano barricate nelle Camere da parte del Pd, M5S, Azione e Italia Viva.
Al centrodestra che vuole concedere alle Regioni richiedenti la facoltà di legiferare con nuove prerogative e risorse su una serie di materie importanti nel rispetto dei principi della Costituzione -a partire da quello cardinale dell’unità e indivisibilità della Repubblica-, il centrosinistra risponde col “no”: l’autonomia differenziata rischia di spaccare il Paese fra Nord e Sud, favorendo di fatto le Regioni più ricche a danno delle altre.
Per ora è un dialogo istituzionale fra sordi, che prescinde dal contenuto del provvedimento e dalle materie in ballo. Anche perché, se si scavasse a fondo, si scoprirebbe che gran parte dei nuovi poteri assegnabili alle Regioni fu prospettata nel recente passato non da destra, ma da sinistra. Cominciando dalla possibilità stessa di concedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” previste dal riformulato articolo 116 della Costituzione su un lungo elenco di materie.
Tale riformulazione fa parte delle modifiche al titolo V della nostra Carta promosse, approvate e difese nel referendum confermativo dal centrosinistra nel 2001. Tanto per dare l’idea di quanto il conflitto di oggi sia molto politico e poco basato sul concreto contenuto del testo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi