S’avvicina un anniversario che non si presta a festeggiamenti: il primo anno della guerra “ripugnante” (ripetiamolo sempre l’aggettivo usato da Papa Francesco) che Putin ha scatenato in Ucraina.
Molto è cambiato da quel 24 febbraio 2022, l’inizio di un’invasione che solo il presidente Zelensky e gli Stati Uniti avevano previsto. E questo è già un dato del cambiamento: l’incredulo Occidente cresciuto nel solido mito della pace, s’è da allora schierato dalla parte giusta della Storia.
Che era, ed è quella degli aggrediti, aiutati con soldi e armi a difendersi, e accogliendone i rifugiati. L’Ucraina è diventata l’una per tutti e il tutti per lei, avamposto della grande e insidiata Patria europea.
Alla recente conferenza di Monaco, i Paesi del G7 hanno riproposto il sostegno anche militare a Kiev, mentre gli Usa hanno formalmente stabilito che Mosca abbia commesso “crimini contro l’umanità”, per i quali tutti gli autori e i loro complici “saranno chiamati a rispondere”.
Eppur si muove anche l’enigmatica Cina, avendo a sua volta annunciato un’imminente iniziativa per far cessare le ostilità. Non si sa con quale credibilità, se Pechino continua a dar manforte a Putin -come denuncia Washington- con tecnologie civili come i droni, che i russi poi utilizzano per la loro battaglia d’inverno. L’ambigua Via della Seta alla pace.
Dunque, un anno dopo la Russia non ha vinto, ma l’Ucraina non s’è liberata. Tuttavia, sarebbe sbagliato sostenere che il conflitto non abbia vincitori né vinti. A fronte della quotidiana strage degli innocenti -donne e bambini, anziani e civili-. già sappiamo d’aver perso tutti nel non essere riusciti a prevenire, né poi a fermare una simile carneficina.
Il che non significa rassegnarsi al massacro: quante più bombe, tanto maggiore dev’essere lo sforzo diplomatico. Tantomeno vuol dire mettere sullo stesso piano il torto di Putin con le ragioni di Zelensky, come i due governi di Draghi e Meloni alle prese con gli effetti devastanti del conflitto, pure in campo energetico-economico, hanno capito subito, collocando l’Italia dove doveva stare con coerenza e determinazione.
Ma il punto è ormai un altro: quando finirà la guerra che lascia sangue, rovine e rancori per generazioni? Lo sa colui che l’ha promossa, al costo di immolare soldati del suo popolo e di danneggiare la Russia nel mondo.
Ma se dipende soprattutto da Putin, è arduo pensare che siamo in buone mani.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi