Abbiamo assistito al più importante festival della canzone italiana nel mondo che, volendo o credendo di farci stare al passo coi tempi, ha deciso di dar voce anche a chi ce le ha cantate e suonate in ogni aspetto della nostra esistenza: politica, sociale e sessuale. A colpi di monologhi, che hanno finito per prendere il posto e le polemiche di solito riservati ai giovani artisti e musicisti chiamati a concorrere sul palco, ogni aspetto degli italiani è stato messo a nudo. Peccato, però, che pensieri, parole e gesti dei vari ospiti invitati per darci lezioni di vita abbiano rispecchiato solo in parte, e in maniera ideologica, i temi più sentiti dagli italiani. E mai hanno colto i problemi gravi e reali vissuti da tutti. Il Paese alle prese con la più pericolosa crisi di denatalità della sua storia, ha invece ascoltato un racconto sul diritto alla non maternità. Il Paese che più di ogni altro in Europa ha aperto le porte e i porti di casa sua alle persone immigrate, ha invece ricevuto riflessioni sul razzismo. Il Paese che sollecita ragioni di speranza per rilanciarsi e tornare a sognare, anzi, a “volare nel blu dipinto di blu” visto che siamo nel tempio della musica italiana, ha invece scoperto artisti che invocavano la legalizzazione della cannabis al governo dopo averne fatto fotograficamente a pezzi un suo alto rappresentante.
Tutto legittimo, anche se tutto discutibile. Ma qualcuno pensa che sia davvero questo il Sanremo “specchio del Paese”? Un Paese che da quasi un anno subisce le ripercussioni economiche del più drammatico e orribile evento che i contemporanei stiano vivendo: la guerra di Putin all’Ucraina. Eppure, l’appello di Zelensky, il valoroso presidente sotto assedio che anche l’Italia sta aiutando a difendersi, è stato relegato alle ore 2.15 della notte nell’ultimo giorno dei pur cinque e interminabili che la RAI ha avuto a disposizione. E anche questa è una scelta, la scelta di chi immaginando di interpretare la modernità, non ne coglie, di nuovo, l’aspetto che più ferisce il cuore e colpisce il bilancio delle famiglie italiane.
I promotori di questo festival pop, per porsi al riparo dalla valanga di critiche -queste sì: “popolari”-, che arrivano sull’onda di quello che è andato in onda, citano il buon successo negli ascolti. Ma è una fragile consolazione, sia perché qualunque cosa faccia spettacolo attira il telespettatore, sia perché stavolta alla cinque giorni di manifestazione si è voluto dare anche un taglio civico-pedagogico. Come lo stesso, inusuale ed encomiabile invito al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha testimoniato. E l’intervento di Roberto Benigni sulla Costituzione ha confermato. Ma gli alti ascolti hanno prodotto anche un’alta insoddisfazione di un’Italia che è stanca di essere ignorata nei suoi veri problemi per essere, invece raffigurata in modo parziale e con la lente sfocata dell’ideologismo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi