Cinque giorni soltanto per risolvere la crisi più inverosimile della già complicata politica italiana. Ma da oggi a mercoledì, quando Mario Draghi si presenterà in Parlamento per riferire e capire se può ancora contare su una coalizione di unità nazionale, e quale, e quanta serietà essa potrà garantirgli, qualcosa si muove anche tra le forze propense al ruolo, ormai indifendibile, “di lotta e di governo”.
A fronte dell’inaffidabilità appena dimostrata dal M5S e dal suo leader Giuseppe Conte, il grande indiziato di populismo dell’altro versante, cioè Matteo Salvini, ha firmato un documento con Silvio Berlusconi che suona come la svolta richiesta dai governatori leghisti del Nord.
Nel testo si dà degli “irresponsabili” ai cinquestelle, coi quali Lega e Forza Italia non vogliono più avere a che fare, e si apprezza la fermezza con cui Draghi ha reagito alla mancata fiducia dei pentastellati sul decreto-legge “aiuti”. Ma, soprattutto, non si fa alcun cenno a richieste di elezioni anticipate, “pur non temendole”.
Se nel caso di Berlusconi la spinta per Draghi era scontata, in quello di Salvini, che deve sempre fare i conti con l’antagonista Giorgia Meloni schierata per il voto subito, la scelta governativa e non più barricadiera è chiarificatrice. Significa che le posizioni dei suoi presidenti di Regione -da Zaia a Fedriga, da Fontana a Fugatti- e la scelta istituzionale incarnata dal ministro Giorgetti hanno fatto centro.
Per Draghi l’assicurazione di poter ora contare su una linea non più ondivaga di Salvini era necessaria, ma non è detto che sarà sufficiente. Il presidente del Consiglio non è disposto a compromettere la sua credibilità nazionale e internazionale e quella dell’Italia per i giochi pre-elettorali e le ripicche personali di un populismo imbelle.
Ma se il populismo cambia pelle, se si ascoltano le preoccupazioni degli italiani e le paure che in Europa e nel mondo si manifestano per il rischio di non vedere più Draghi al timone, le cose potrebbero cambiare. Già cominciano a cambiare persino nel M5S, dove tengono a smentire che Conte abbia chiesto ai suoi ministri di dimettersi.
La strada del voto anticipato in autunno oggi sembra ineluttabile.
Ma i 5 giorni e il Quirinale giocano a favore della stabilità per affrontare le incombenti emergenze. Se l’inflessibile Draghi avrà la certezza di poter governare davvero con ampio sostegno politico, l’ultima parola non è detta. Anche se l’ultima parola sarà solo la sua.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi