Il momento è storico, e non c’è retorica nel constatarlo: il Consiglio europeo dei 27 capi di Stato e di governo dà il via libera allo “status di Paese candidato” dell’Ucraina e della Moldavia (e alla prospettiva della Georgia) per il loro ingresso nell’Ue. La strada sarà lunga e complicata, ma il primo e più importante passo è stato compiuto.
Ma non c’è tempo di festeggiare, a quattro mesi esatti dall’inizio, il 24 febbraio, della guerra di Putin. Coi suoi “danni collaterali” in Europa, come vengono catalogate con espressione militare le gravi ripercussioni economiche: aumento della luce e del gas, rincaro dei prodotti alimentari. E poi l’inflazione e le previsioni di un Pil al ribasso. La crescita frenata per colpa della guerra.
Famiglie e imprese italiane sono già in difficoltà per i prezzi che volano e si preparano a un autunno che la crisi energetica potrebbe rendere il più freddo degli ultimi anni, e non a causa dei cambiamenti climatici. Riscaldamento a rischio e riduzione dei consumi è un altro pericolo per l’economia, perché presto bisognerà fare i conti col ricatto politico di Mosca, il fornitore del gas. Senza che il nostro Paese abbia il tempo per trovare, pur già impegnato a ricercale in patria e nel mondo, fonti alternative di pari livello nell’approvvigionamento.
Il costo dell’energia, dunque. Un rischio ben conosciuto dai governi occidentali (“il gas ormai è una scarsa risorsa in Germania”, annuncia il ministro tedesco dell’economia, Robert Habeck) e soprattutto dal nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi. Che da tempo sollecita l’Unione europea a fissare un tetto al prezzo del gas proprio per non sottostare più ai minacciosi voleri della Russia. E che ora potrebbe essere accontentato: al Consiglio europeo in corso prende forma la proposta italiana di un vertice straordinario a luglio tutto dedicato all’energia. Dove Draghi, spalleggiato dal presidente francese Emmanuel Macron, conterebbe anche di prospettare un piano di ripresa sulla materia con debiti e investimenti comuni.
E’ già successo contro la pandemia, che l’Europa abbia fatto fronte comune. Non si vede perché i 27 Paesi non debbano ripetersi contro la crisi del gas, facendosi carico tutti insieme del danno economico più pesante di questa guerra senza fine.
Un danno che può diventare persino un’opportunità, se l’Ue sarà capace di imboccare una via autonoma dell’energia, chiave di volta della sua indipendenza economica e politica.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi