Nell’aula del Senato Mario Draghi aveva chiesto l’unità per poter rappresentare al meglio l’Italia al Consiglio europeo di domani dedicato soprattutto all’Ucraina. E unità il presidente del Consiglio ha ottenuto: la risoluzione che appoggia la ferma posizione del governo sulla guerra, e che non contempla ripensamenti sull’invio anche di armi al Paese aggredito -come invece Giuseppe Conte ed esponenti del M5S invocavano nei giorni scorsi-, passa col voto della maggioranza e l’astensione dell’opposizione di destra: 219 sì e appena 20 no.
Per spegnere ogni polemica, è bastato che nel documento, limato fino all’ultimo dalla coalizione, si riaffermasse il coinvolgimento del Parlamento prima di approvare nuove misure sul conflitto.
Un contentino ai cinquestelle che non incide sulla strategia di Draghi: il massimo dell’aiuto possibile a Kiev e, allo stesso tempo, l’impegno a battersi con l’Europa per una pace che dovrà essere accettata prima di tutto dagli ucraini, cioè dalle vittime dell’invasione.
La rottura che è stata scongiurata nella maggioranza, in compenso si consuma all’interno del principale partito che la costituisce. Il ministro degli Esteri e figura più rappresentativa del M5S, Luigi Di Maio, se ne va e fonda un nuovo gruppo (“Insieme per il futuro”) in contrasto con la politica del non più suo partito. Rompe col populismo e col sovranismo e, in aperto contrasto con Conte, elogia Draghi.
L’addio è solo l’ultima conferma di una spaccatura annunciata fra l’anima istituzionale e governativa e quella movimentista delle origini. Tant’è, che l’ex Alessandro Di Battista, già esponente dell’ala dura e pura, così commenta: “Ignobile tradimento”. Gli avversari accusano Di Maio di preferire le poltrone ai programmi. Volano gli stracci, ma lo strappo deriva anche dal disastro del voto amministrativo e dalla linea ambigua in politica estera attribuiti a Conte e non sconfessati da Grillo. “Alcuni dirigenti del movimento hanno rischiato di indebolire l’Italia”, accusa Di Maio. Lui e gli scissionisti, che rappresenterebbero -essi dicono- un quarto del gruppo parlamentare, ora rivendicano una chiara scelta di campo, europea e occidentale, rispetto a un M5S che troppe idee, posizioni e principi ha cambiato strada facendo.
Dal “vaffa” in piazza all’ingresso a Palazzo Chigi: una parabola piena di contraddizioni che le forti diversità sulla guerra hanno fatto esplodere.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi