Che cosa vuol dire democrazia, che cosa vuol dire libertà? Ecco la risposta del grande giurista Piero Calamandrei, uno dei padri della Costituzione: “Fiducia del popolo nelle sue leggi, sentire le leggi come scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall’alto”.
La prova più importante di quanto i cittadini si sentano fiduciosi o sfiduciati nel rapporto con le loro istituzioni arriva, puntuale, il giorno delle elezioni. Che fra nazionali, europee, regionali e amministrative -queste ultime indette oggi in quasi mille Comuni e abbinate a cinque quesiti referendari sulla giustizia-, avvengono di continuo: ogni anno si vota per qualcosa in Italia.
Eppure, la drammatica attualità della guerra, che vede un Paese di fresca e fragile democrazia resistere a costo dell’esistenza per salvare la propria libertà dall’aggressione di una nazione guidata dall’autocrazia, insegna che certi valori non sono per sempre, e neppure i più diffusi. Al contrario di quanto possiamo credere noi che viviamo in Occidente, la popolazione che può vantare una democrazia completa e compiuta nel mondo, non arriva al 10 per cento dell’intera umanità. Una ragione in più per tenerci stretto questo bene prezioso (“la democrazia è la peggior forma di governo, tolte tutte le altre”, ammoniva Churchill). Ma anche per capire che, senza la nostra “fiducia”, la libertà inaridisce. E vale pure l’opposto: capire se, quando e perché la nostra fiducia cala nell’interesse della libertà da difendere.
Dunque, il voto è anche il termometro ideale per misurare qual è, sulla base del livello di partecipazione alle urne, lo stato d’animo degli italiani. Fiducia alta, bassa, media? Lo vedremo al termine della consultazione. Il dato della partecipazione sarà un segnale molto utile per chi sarà chiamato ad amministrare i Comuni, per il governo, per i partiti: monitorare il grado di disaffezione o impegno, di distacco o desiderio di far sentire la propria voce. Quale sarà, allora, l’effetto civico del combinato disposto fra guerra e pandemia?
Certo, nelle democrazie esiste un livello fisiologico di astensioni, per esempio molto elevato negli Stati Uniti. Nella minoranza dei Paesi al mondo in cui si vota con regole condivise e trasparenti, il voto è una facoltà, non un obbligo. Ma tra il dovere che non c’è e il diritto che si può esercitare, quant’è importante cogliere il malessere o il benessere, la delusione o la speranza di un popolo al tempo della guerra.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi