Più di trent’anni sono passati dai referendum sulla responsabilità dei giudici (1987) e poco meno dall’inizio, nel 1992, delle inchieste di Mani Pulite. Eppure, il grande tema della giustizia resta irrisolto nelle considerazioni dei cittadini (dai processi lenti e costosi alla certezza della pena che è solo un miraggio), e riesplode in queste ore.
Con una scelta che ha spaccato gli stessi promotori, e che appare molto difficile da capire in uno Stato di diritto, i magistrati hanno appena scioperato contro la riforma del governo voluta dalla ministra Marta Cartabia. Ma l’esito modesto nelle adesioni alla protesta ha innescato polemiche fra le stesse toghe e sconcerto da parte di ampi e trasversali settori del mondo politico: come fanno a scioperare contro lo Stato coloro che sono chiamati ad applicarne le leggi?
Come se non bastasse, il 12 giugno si vota per 5 referendum che, fra separazione delle carriere, riforma del Csm, limiti alla custodia cautelare e altro prescindono dalla riforma-Cartabia, ritenuta utile ma insufficiente anche da alcuni partiti nella maggioranza che pure l’hanno assecondata. Intanto il governo approva la riforma tributaria.
Dunque, s’infiamma un tema decisivo per i diritti degli italiani e per lo sviluppo economico del Paese. Da tempo imprese straniere evitano di investire in Italia, e lo fanno in altre nazioni europee, proprio per le incertezze delle regole e i rischi di non poter ottenere giustizia in tempi ragionevoli, se sorgono conflitti. Non per caso il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede forti investimenti nel nuovo “Ufficio per il processo”, nella digitalizzazione e nell’edilizia giudiziaria.
Ma lo sforzo per arrivare a quella “giustizia giusta” da sempre invocata, finora invano, dovrebbe vedere tutti dalla stessa parte: magistrati e avvocati, maggioranza e opposizione. Ciascuno con le sue opinioni, certo, ma tutti uniti verso l’obiettivo di cambiare in maniera strutturale un sistema che non funziona. Come da ultimo testimonia il caso-Palamara e lo scandalo per il modo e mondo delle nomine che ha coinvolto il Csm, e che portò il presidente Mattarella nel discorso d’insediamento a sollecitare “un profondo processo riformatore” della giustizia. Oggi è dovere per tutti, alla vigilia di altri anniversari all’orizzonte: i trent’anni del sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, magistrati-eroi uccisi dalla mafia perché avevano e sapevano far valere un grande senso della giustizia e dello Stato.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi