Parte la grande sfida del voto comunale del 12 giugno, il primo ritorno alle urne al tempo della guerra in Ucraina. Ma stavolta non sarà uno dei tanti e abituali appuntamenti amministrativi che si succedono uno dopo l’altro fra elezioni nazionali, regionali ed europee, e non solo per il clima di grande preoccupazione per una pace che non arriva nel cuore dell’Europa. Quanto e come il conflitto in pieno e tragico corso potrà influire sui quasi nove milioni di elettori chiamati a scegliere i sindaci delle loro città?
In ballo ci sono 978 comuni sparsi in gran parte d’Italia. Un test locale a macchia di leopardo che avrà una valenza anche nazionale. Tant’è che, pur trattandosi di un giudizio dei cittadini su come amministrare il proprio territorio, non mancano polemiche e divisioni politiche su liste e candidati.
Per il centrodestra, alla ricerca dell’unità perduta anche nel sostegno al governo-Draghi (Lega e Forza Italia nella maggioranza, Fratelli d’Italia all’opposizione), il caso più emblematico è proprio Verona.
Il sindaco uscente, Federico Sboarina, si presenta con un appoggio di centrodestra rovesciato rispetto a quello nazionale: Fdi e Lega con lui, mentre Forza Italia sostiene l’ex sindaco Flavio Tosi. Divisi, al momento, anche in Sicilia (dove però si voterà in autunno) sulla candidatura del governatore uscente, Nello Musumeci. Fdi per la riconferma, Forza Italia e Lega s’oppongono o tentennano.
Malumori simili regnano nel centrosinistra. Tengono le intese amministrative fra Pd e M5S, laddove sono state fatte. Ma il dopo appare incerto. Le posizioni critiche di Conte sugli aiuti militari all’Ucraina e contro Draghi (“il governo non ha un mandato politico sulla guerra”), mettono in forse l’idea dell’”alleanza eco-progressista a campo largo” che coltivava il leader del Pd, Letta.
Il dialogo continua, ma la tensione resta alta in vista delle elezioni nel 2023. “Questo è l’ultimo governo della legislatura”, fa sapere Letta a chi volesse sgambettare Draghi in epoca di guerra e pandemia.
Ecco perché il voto del 12 giugno, caricato, inoltre, dal concomitante voto dei 5 referendum sulla giustizia, non sarà politicamente innocuo: darà comunque un’indicazione sugli equilibri nei due fronti a seconda dell’esito di liste e candidati. E’ sempre stato così.
Ma ora c’è pure il fattore “P” di Putin a rendere più agguerrita la sfida.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi