Aveva già qualificato come “ripugnante” la guerra in Ucraina. Aveva ricordato al mondo che non esistono “guerre giuste” e se l’era presa coi governi, compreso il nostro, che aumentano le spese per le armi. Ora il Papa critica Putin, l’aggressore mai finora indicato col nome: “Qualche potente, tristemente rinchiuso nelle anacronistiche pretese di interessi nazionalistici, provoca e fomenta conflitti”.
Francesco dice pane al pane, com’è suo costume per ruolo universale e carattere personale. Ma, arrivati al 39esimo giorno di sangue e di lacrime, il Papa capisce che purtroppo non bastano più le parole, neanche le sue pur tanto sollecitate e chiare, per fermare soldati e carri armati. Per consentire ai civili di scappare. Per aprire non un tavolo di trattative che fra le parti è già aperto da tempo, e nulla infatti produce, ma uno spiraglio di dialogo autentico: parlarsi anziché spararsi. Speranze di pace invece che disperazione di guerra.
E allora, se gli inviti, i richiami, gli appelli a nulla conducono, ecco che il pontefice si prepara al grande gesto. Il gesto di andare di persona a Kiev, capitale della strage degli innocenti e città-simbolo sia per chi resiste, sia per chi vorrebbe conquistarla dopo averne invaso il Paese. Non più parole disperse dal vento della follia, ma l’esempio: il massimo rappresentante della Chiesa cattolica pronto a camminare fra bombe e missili per mostrare ai contendenti, e anche alla Chiesa ortodossa di Mosca divisa sul conflitto e dalla voce finora flebile nell’invocare il cessate il fuoco, che un’altra via è possibile. Che la via della pace vale più di qualunque guerra e minaccia atomica.
Naturalmente, non dipenderà solo da Francesco la volontà di poter mettere piede nell’inferno per contribuire a spegnerlo. E poi sarebbe riduttivo considerare come temerario un atto di testimonianza per chi rappresenta una religione che da duemila anni vive e tramanda il senso, umano e divino, del sacrificio e dell’amore per il prossimo.
Ma è evidente che qui sulla Terra, la terra d’Ucraina, c’è il rischio che il gesto possa fallire. Enormi il rischio, ma pure la portata che avrebbe la sua presenza a Kiev. Persino nel cuore di “qualche potente”.
Non è difficile immaginare le diplomazie al lavoro per capire se un simile passo (nell’era moderna mai un Papa ha osato “intromettersi” fisicamente in una guerra per arrestarla), sarà possibile, e quando, e come. Sarebbe un passo unico e straordinario.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi