C’è una guerra ai confini di casa -la nostra casa d’Europa- e lo Stato Maggiore dell’Esercito suona l’allerta in Italia con una circolare che, in tempo di pace, mai avremmo immaginato di poter, un giorno, arrivare a leggere. Indica le nuove regole per i soldati. “Documento di routine”, si precisa nell’ambito della Difesa per evitare allarmismi. Ma stavolta bisogna “rispondere alle esigenze dettate dai mutamenti del contesto internazionale”, com’è scritto con implicito riferimento all’Ucraina, il cuore anche geografico del continente sotto le bombe di Putin da 20 giorni. E perciò addestramento ai combattimenti e missioni, armi e congedi, tutto ciò che riguarda l’attività dei militari va adeguato alla realtà di quel che altrove sta tragicamente accadendo. Prevenire e prepararsi -va da sé- con la consapevolezza, e non solo la speranza, che dovranno essere le diplomazie, non le armi, a fermare il conflitto.
Ma non si può far finta di niente, perché intanto la gente muore o viene presa in ostaggio, e gli appelli a salvare i bambini e i civili in Ucraina cadono nel vuoto. Intanto tre primi ministri -sloveno, ceco e polacco- fanno la cosa giusta: vanno a Kiev per cercare di contribuire a proteggere, con la loro simbolica presenza, le vittime innocenti dai missili e dagli agguati. Intanto si tratta dietro le quinte con Putin, senza però capire che cosa l’aggressore abbia in testa. Né, soprattutto, se ci si possa ancora fidare di chi ha invaso e bombardato violando tutti i principi e diritti che disciplinano i rapporti fra Stati.
La situazione, dunque, è molto grave e molto seria e oggi solo un errore non bisognerebbe commettere: sottovalutarla. Sottovalutare il fuoco che divora le case, le lacrime degli abitanti in fuga, il racconto lasciato a metà di giornalisti e operatori uccisi. Tutto sta succedendo sotto i nostri occhi nel Ventunesimo secolo, e chi l’avrebbe detto.
Tuttavia, l’incredulità non può andare a scapito del realismo, il crudele realismo della guerra sciagurata alle porte di casa. La circolare prende militarmente atto di quel che avviene a Kiev e dintorni per riorganizzare i dispositivi nell’attesa di un accordo geopolitico che non c’è. E sempre d’intesa con gli alleati atlantici.
L’unità dell’Occidente resta il messaggio più forte, mentre il presidente Zelensky dice d’aver capito che non può “entrare nella Nato”. Parole che non bastano per fermare i carri armati di Putin.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi