Cercasi mediazione disperatamente. Adesso ci prova il primo ministro d’Israele, Naftali Bennet, volato a Mosca dopo il fallimento dei tentativi diplomatici degli europei e americani prima e durante la guerra di Putin, e il persistente dialogo fra sordi di russi e ucraini, che lunedì s’incontreranno per la terza e probabilmente inutile volta. Perché le parti ai due lati del tavolo -ma non sullo stesso piano: c’è un aggressore e un aggredito-, finora non rinunciano a porre questioni di principio irricevibili per gli uni o per gli altri.
Eppure, l’unico modo per consentire almeno l’apertura dei corridoi umanitari (ancora non funziona la tregua reclamata per l’uscita dei civili dalle città colpite), è di fermare subito il rumore delle armi.
Ma al bagno di sangue del già trascorso decimo giorno di fuoco ora s’aggiunge l’ultimo avvertimento all’Occidente da parte dell’uomo che ha scatenato la tragedia nel cuore dell’Europa. “Le sanzioni che ci vengono imposte sono come una dichiarazione di guerra”, ha detto Putin. E la cronaca purtroppo insegna a non sottovalutare le sue parole. Che potranno pure essere di propaganda per l’ignaro e incolpevole popolo russo, che già paga le ricadute economiche per la scelta del presidente guerrafondaio, ma che non sono mai a vanvera.
Per capire quanto la tensione sia alle stelle, alle minacce dello Zar, che ha sbagliato secolo, tempi e soprattutto modi per agitare il suo mai sopito nazionalcomunismo di stampo imperiale, bisogna aggiungere la pericolosa insidia delle truppe russe alle centrali nucleari in Ucraina, dopo la presa di quella, funesta, di Chernobyl. E l’addio dei corrispondenti esteri da Mosca: una legge prevede fino a 15 anni di galera per chi non racconta la guerra come vuole il regime.
Tutto, dunque, depone contro la ricerca di quello “spiraglio” che consenta ai bellicanti di tornare alla ragione. E al mondo di tirare un sospiro di sollievo dopo tanta angoscia e indignazione provate.
Ma anche se il traguardo della pace oggi appare lontano, anche se nessuno è in grado di comprendere cos’abbia Putin in testa, fare l’impossibile per fermare lo scontro è un dovere universale. Più la strage degli innocenti s’allarga, maggiore dev’essere lo sforzo di Ue, Usa, perfino della Cina non così vicina a Putin come potrebbe sembrare, di trovare una via d’uscita dall’inferno.
Non è mai tardi per fermare una guerra, anche se è già tardi.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi