Solo Fiorentino poteva chiamarsi Waldimaro.
Quel nome così particolare era lo specchio di una persona tanto rara da sembrare fuori dal tempo: sostenitore del Re in piena Repubblica, “l’ultimo eletto in tutta Italia in una lista dichiaratamente monarchica”, come ha scritto di sé con fiera ironia da ex consigliere comunale a Bolzano.
Si può dire che Waldimaro Fiorentino non abbia sprecato neanche un giorno dei suoi 86 anni vissuti appassionatamente. La passione per la Storia, a cominciare da quella familiare “quale figlio di un Ufficiale superiore del Regio esercito caduto nell’ultimo conflitto e decorato al valor militare”, come ha raccontato con orgoglio. Risorgimento e Grande Guerra le miniere più scavate con coerenza e competenza sovrane.
E poi la passione per lo sport, che dall’atletica leggera, praticata con discreto successo, lo porterà a fondare il Gruppo Sportivo Savoia nel 1960: solo Savoia poteva, di nuovo, chiamarsi la sua creatura. Il fondatore amava ricordare che, in quasi cinquant’anni di esperienza sportiva, non aveva mai subìto squalifiche né espulsioni: la correttezza costituiva la sua vittoria più grande.
Ma anche passione per il lavoro dell’intraprendere, che è prerogativa dell’imprenditore e del giornalista. Fiorentino riuscì a esercitarli entrambi. Fu dirigente industriale (laurea in economia e commercio) e allo stesso tempo “pubblicista”, come si definiva con umiltà l’uomo colto, saggista e conferenziere che era in lui.
Passione, infine, per la dolce musica italiana, che nell’opera lirica e nell’operetta -la preferenza dell’esperto Fiorentino- suggella la propria universalità. Sul tema diversi libri ha scritto e pubblicato con le “Edizioni Catinaccio” da lui create con nome evocativo, per poter dire e divulgare quel che voleva senza chiedere conto o permesso a nessuno.
Eppure, c’era un filo rosso -anzi, azzurro-, che univa gli interessi umani e culturali del poliedrico Waldimaro. Sopra persino il rimpianto Re e accanto alla venerata famiglia in lui ardeva l’amore per l’Italia. Un amore infinito e incontaminato, nonostante lo spirito critico con cui osservava le cose locali e la politica nazionale. Ma Fiorentino trovava sempre, e spesso rifugiandosi nella storia che approfondiva soprattutto nei dettagli, il modo per rimarcare non solo la bellezza, ma anche la grandezza dell’Italia. Al punto d’aver pubblicato due volumi per smentire lo stereotipo che ci trasmettiamo per pigrizia, ossia che nell’umanesimo la tradizione italiana sia di eccellenza, ma nella scienza non così tanto.
Con “Italia, patria di scienziati”, avvalorato dal patrocinio della Sips (Società italiana per il progresso delle scienze), Fiorentino ha elencato con la perizia dell’amanuense l’esercito di studiosi, ricercatori e scienziati che nel corso del tempo hanno reso, appunto, grande il nome dell’Italia nel mondo. Precisando persino le invenzioni e le innovazioni con le quali essi si sono imposti a livello internazionale, contribuendo da italiani a cambiare la vita delle persone e del pianeta.
Dei molti e talora polemici libri del battagliero Fiorentino, “Italia, patria di scienziati” è il tesoro più importante -e forse a lui più caro- che l’acuto e arguto “pubblicista” appena scomparso già lascia in eredità di lettura e conoscenza. Il testo è stato anche tradotto in arabo e presentato dall’autore in Egitto, a conferma del fatto che l’italianità ha respiro e valori universali. E che la Repubblica può essere oggi grata a questo suo figlio bastian contrario per principio, l’ultimo mohicano-monarchico di Bolzano nato a Padova il 20 agosto 1935. Che all’Alto Adige ha dedicato gran parte dell’esistenza e molte riflessioni e ricostruzioni con la schiena sempre dritta e un sorriso tenero, da perenne innamorato dell’Italia.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige