Non è la prima volta, ma di sicuro è la più consapevole con la quale l’Italia al massimo livello istituzionale investe il suo cuore e la sua politica sul bene più prezioso eppur trascurato che ha: la lingua italiana. “E’ il pilastro della nostra identità, ovunque ci troviamo”, ricorda il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aprendo gli Stati Generali della Lingua e della Creatività italiane nel mondo. “La lingua rappresenta la prima ambasciatrice del saper essere e del saper fare dell’Italia. L’italiano è figlio della creatività, apprezzata e ammirata a livello internazionale”.
Nell’anno di Dante, di Draghi che ha apertamente ironizzato sull’abuso ridicolo dell’inglese nel nostro parlare, e di Papa Francesco che sempre in italiano si rivolge nelle visite pastorali in giro per il mondo, alla Farnesina si discute dell’”italiano di domani”. Che in realtà è già nel presente, soprattutto se lo sguardo da Roma s’alza verso l’universo. Oggi la nostra è la quinta e a volte quarta lingua più studiata in moltissime scuole e Università all’estero. Alla sua diffusione contribuiscono anche 84 Istituti Italiani di Cultura, più di 400 comitati della Società Dante Alighieri, decine fra scuole italiane e corsi in tutti i continenti. Anche se l’italiano “vola”, come un tempo la più celebre canzone di Modugno, per conto suo oltre ogni confine.
Affascina la sua musicalità, l’empatia che produce, la bellezza che emana. In oltre la metà dei teatri del mondo si rappresentano opere italiane cantate in italiano. Lirica ma pure rock, come testimoniano i nuovi successi internazionali dei Maneskin o quelli pop consacrati di Andrea Bocelli e altri artisti, che in italiano incantano platee ovunque.
E poi c’è il vocabolario della cucina e dell’arte italiane, che si ritrova stampato sui menù e i libri del mondo.
Per valorizzare la conoscenza della nostra lingua, lo Stato investe 2,5 milioni di euro all’anno. Meno delle altre nazioni a noi paragonabili. L’italiano è seguito da oltre 2 milioni di studenti in 113 Paesi (con Europa e Americhe in testa). “Il nostro obiettivo è di aumentare ancora di più questi numeri”, dice il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “L’italiano non è più concepito solo come lingua da insegnare e diffondere, ma anche quale patrimonio che rende il nostro Paese unico al mondo per la sua capacità creativa, innovativa e imprenditoriale”.
Lingua di valore e di valori, sottolinea il ministro della Cultura, Dario Franceschini: “Viviamo nell’unico Paese che ha tra i principi della Carta costituzionale la tutela del patrimonio storico-artistico. Investire nella cultura è una grande scelta economica. Per uno sviluppo sostenibile adatto alla peculiarità italiana”.
Per diffondere la bella lingua grandi sono le opportunità delle esposizioni internazionali, della comunicazione in italiano all’estero -in particolare quella pubblica di Rai Italia-, degli eventi di moda e sport, di alta tecnologia e industria del manufatto che ci vedono protagonisti di eccellenza.
Ma alle iniziative di singoli talenti, di associazioni, di imprenditori bisogna affiancare un’istituzione italo-internazionale. Come da tempo fanno Francia, Spagna e Portogallo per sostenere le loro lingue anch’esse neolatine. Così come fanno con i loro idiomi la Gran Bretagna -che pure non avrebbe alcun bisogno di spingere l’inglese ormai globale- e la stessa Germania con la sua lingua pur difficile da acquisire per i non tedeschi. Ma ogni nazione d’Europa conosce il proprio interesse nazionale e sa che significa investire sulla lingua.
Analogamente, dunque, grandi e nuove opportunità avrebbe una comunità italofona, il cui nucleo di fondatori spetterebbe ai quattro Stati italo-parlanti (Svizzera italiana, Vaticano, San Marino e Italia) insieme con rappresentati della ventina di nazioni dove, dall’Albania a Malta, l’italiano è diffuso e considerato importante. Così come rappresentanti dell’altra ventina di Paesi, dagli Stati Uniti all’Argentina, al Brasile, in cui vivono forti e radicate comunità di italiani e oriundi.
Forse è arrivato il momento di questo passo istituzionale successivo, ma decisivo per l’”italiano di domani”.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma