Ci sarà una ragione se, fin dall’Ottocento, l’Italia veniva raccontata come “il Paese delle cento città”. Se, in tempi più recenti, per lanciare la proposta dell’elezione diretta del presidente del Consiglio Mariotto Segni la battezzava “il sindaco d’Italia”. Se oggi quasi 8.000 Comuni rappresentano l’istituzione più vicina ai cittadini e più ancorata alla storia unitaria e millenaria di un Paese ricco di paesi unici al mondo.
Tra radici e futuro Mario Draghi non ha, perciò, avuto dubbi nell’indicare, da Parma, il primo soggetto istituzionale chiamato al rilancio economico: “Sindaci, sarete al centro della stagione che abbiamo davanti, una straordinaria occasione di riforme e investimenti grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il successo del piano è nelle vostre mani come nelle nostre”.
Sono parole nuove, ma anche impegnative. Nuove perché, nell’infinito tira e molla sulla Grande Riforma, il Comune è stato sempre l’ente più prediletto dagli italiani, eppure il più trascurato dalla politica.
Fra Stato e Regioni non c’era mai posto per il Municipio. Governo e governatori si contendevano solo loro le competenze in ballo. E poi i sindaci, divisi, faticavano a fare da “fronte Comune”.
Per troppi anni i territori hanno perso una preziosa voce in capitolo. Che ora Draghi riscopre accanto a quella dei ministeri e degli assessorati. Comuni e Città metropolitane dovranno amministrare quasi 50 miliardi dei fondi europei “come soggetti attuatori del Pnrr”. A fronte del grande riconoscimento, una grande responsabilità.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi