Quando un’alleanza politica perde in quasi tutta Italia, è difficile darne la colpa ai soli candidati scelti male e con ritardo, come pure nel centrodestra s’è ammesso con franchezza a sua volta tardiva. Né si può invocare l’attenuante dell’altissima astensione, che semmai è un’aggravante: se i tuoi elettori, a differenza di quelli del centrosinistra, decidono di restare a casa -e Roma ne è testimonianza esemplare-, significa che essi sono fortemente delusi. Altrimenti sarebbero andati alle urne a costo di votare controvoglia per quei candidati “scelti male e con ritardo”. Ma neppure questo è accaduto.
Invece la realtà che il centrodestra sconfitto si ostina a non voler vedere, è chiara come il voto. C’è un’opinione pubblica del buonsenso, quella che di solito non manifesta in piazza e non necessariamente vota a sinistra, che è rimasta sconcertata dalla politica della destra al tempo della pandemia. Incomprensibile l’aver detto no al governo di unità nazionale, cioè nato quale pronto soccorso per difendere la Patria dal Covid e avviare la ripresa. Un governo, oltretutto, guidato da Mario Draghi, che non è un bolscevico col colbacco (gli starebbe pure male), ma il miglior presidente del Consiglio che l’Italia avrebbe potuto desiderare nel peggior momento della sua storia sanitaria ed economica. E’ il capolavoro del settennato di Sergio Mattarella.
Aver rinunciato a sostenere Draghi, come Giorgia Meloni, o farlo a giorni alterni come il Matteo Salvini di lotta e di governo, equivale a sottovalutare la differenza fra Nazione e fazione e l’eccezionalità delle circostanze per cui l’italiano più apprezzato a livello internazionale è finito a Palazzo Chigi. Significa, in sostanza, mettere in discussione la credibilità politica e l’affidabilità istituzionale agli occhi dei tuoi stessi elettori.
La conferma popolare dell’errore per la destra “patriottica” che non vede quanta Patria c’è in Draghi (anche nello stile: rivolto alle Nazioni Unite ha parlato in italiano, non nell’inglese che pur frequenta benissimo), è nella posizione inconcepibile sulla campagna vaccinale.
Se addirittura l’85 per cento degli italiani ha già scelto liberamente di farsi la puntura, e per due volte, come si fa a prestare, invece, spasmodico ascolto, e spesso deferente comprensione, verso le ragioni più irragionevoli dell’esigua, ma rumorosa contestazione No e Ni Vax? Dove sono finiti quel senso dello Stato e quella cultura del dovere (mi vaccino per gli altri e per i più deboli, non solo per tutelare me stesso), tipici della tradizione liberal-conservatrice? Come può, proprio la destra, battersi contro l’obbligo della certificazione verde anche per lavorare, la chiave di volta civica con cui l’Italia sta contenendo l’epidemia meglio dei Paesi a noi affini? Come può, proprio la destra, non aver colto la significativa scelta di Draghi, che non ha chiamato un radical-chic da salotto, ma un generale da trincea, Francesco Figliuolo, per realizzare il piano della vaccinazione di massa?
Se la destra non ritrova la bussola, cioè la capacità di essere in sintonia con i voleri e i valori del popolo italiano, non c’è sondaggio incoraggiante che tenga: il miraggio dell’attimo fuggente svanirà sempre di fronte al verdetto del voto che vale per cinque anni.
Può darsi che al centrodestra a trazione Salvini-Meloni basti il ruolo del bastian contrario, non importa se dentro o fuori dal governo.
Ma ai cittadini che non si riconoscono nella sinistra, e che da oltre settant’anni sono pur sempre la maggioranza degli italiani, la protesta a prescindere poco interessa. E’ il momento della responsabilità e gli elettori premiano chi se la prende con scienza e coscienza. “Italianità” oggi vuol dire mettersi in gioco per costruire, non restare alla finestra nell’attesa di un tempo che è già arrivato.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma