La staffetta non poteva essere più simbolica. A Roma, dove tutte le strade della politica anche europea portano, Angela Merkel incorona Mario Draghi come “garante dell’euro” e protagonista di una “stretta collaborazione” fra Germania e Italia, nazione “per la quale il mio amore continuerà”. Nell’ultimo viaggio istituzionale, la donna di ferro che per 16 anni è stata il punto di riferimento dei tedeschi e dell’Ue, usa parole chiare per indicare chi, in Europa, potrà essere il successore di fatto. Non servono designazioni: bastano il riconoscimento e la riconoscenza che la cancelliera venuta dal freddo rivolge al nostro presidente del Consiglio per comprendere che i giudizi non sono frutto di stima e affetto pur esistenti e ricambiati, ma della Realpolitik.
Archiviata l’era Merkel senza prospettive di stabilità (a Berlino oggi affiorano coalizioni di tutti i colori), le difficoltà anche elettorali di Macron in Francia e l’addio di Johnson con la Brexit pongono Draghi al centro dell’Europa. Lo s’è già visto col G20 straordinario sull’Afghanistan, da lui voluto e promosso il 12 ottobre.
Certo, fanno effetto le parti invertite: i tedeschi in balìa dell’incertezza che guardano all’Italia di Draghi come esempio virtuoso. Ma l’investitura di Angela è anche un pungolo per il governo di unità nazionale. Anziché polemizzare a vuoto (ieri Salvini a Palazzo Chigi per chiarimenti), la “Große Koalition” italiana valorizzi la credibilità e l’autorevolezza che gli altri, non solo in Europa, vedono in Draghi.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi