Quando alle urne vanno 12 milioni di elettori per rinnovare 1.700 Comuni e una Regione, la Calabria, l’esito del voto amministrativo ha per forza un risvolto nazionale. Anche se dovremmo essere abituati a non buttare sempre e tutto in politica, visto che tra un’elezione e l’altra l’Italia è in perenne campagna elettorale.
Ma l’appuntamento di oggi e domani ha a che fare poco con il destino del governo-Draghi, che naviga per conto suo in acque sicure, perché privo di credibili alternative in questo momento di ripresa decisivo per il Paese. Né si può immaginare che le scelte di sindaci pur importanti -a Roma e Milano, a Torino e a Napoli, a Bologna e a Trieste- potranno influire sull’elezione di febbraio del presidente della Repubblica.
L’esito del voto avrà, invece, un effetto sulle coalizioni e sui leader che si sfidano oltre i candidati. Il centrosinistra cerca il nuovo inizio con una domanda elementare, ma fondamentale: s’ha da fare il matrimonio fra Pd e M5S, e come? Poiché gli alleati di governo si presentano in tre modi a seconda dei luoghi -insieme, separati o persino da avversari-, la preferenza degli italiani contribuirà a sciogliere il rebus.
Anche il centrodestra va alle grandi manovre. Chi vincerà la corsa indiretta fra Salvini e Meloni? E il partito di Berlusconi avrà quel ruolo di cerniera che rivendica per la coalizione in Europa? Ma poi: opposizione di lotta o di governo, dato che la Lega appoggia Draghi e Fdi no? La posta in gioco è rilevante per tutti i partiti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi