Se il gioco del calcio è la più seria espressione di squadra dell’identità di un Paese, se lo sport del tennis è la più autentica sfida individuale (uno vince, l’altro perde) di una comunità nazionale, l’Italia rinasce, oggi 11 luglio, fra Wembley e Wimbledon.
Per una coincidenza del destino, che non fa mai le cose a caso, a Londra compete in finale la meglio gioventù degli Azzurri nell’Olimpo del football, dove anche i grandi concerti hanno fatto la storia e non solo la musica. E pure nel tempio del tennis, dove da 144 anni si può gareggiare vestiti solo di bianco. Ma il Nostro lo sarà di bianco, rosso e verde nel cuore: primo italiano a disputare il trofeo più antico e ambito sull’erba tanto delicata.
La Nazionale di Mancini e il servizio di Berrettini sono l’emblema della rigenerazione italiana in epoca, oltretutto, di pandemia, questo male senza frontiere che ha colpito anche la speranza.
Invece, per arrivare dove gli undici e il singolo sono arrivati, servono talento e sacrificio, lealtà e stile, quel “siam pronti alla morte” cantato a squarciagola, che in realtà è un inno alla vita.
E poi qui, alla prova dell’universo, vale solo il merito, mica le appartenenze. Qui ci si batte per la coppa dopo averli battuti tutti, gli altri. Qui contano valori e principi comuni, non le risse, non le recriminazioni. Ancora una volta l’Italia si affaccia al mondo mostrando di essere una grande nazione persino nell’”ora più buia”. E di saperlo fare tra memoria e futuro anche sul campo: il catenaccio tipico di chi ha il Piave nell’animo, e il passaggio veloce e di prima tra raffinati palleggiatori, così da fare gol quando l’avversario meno se lo aspetta. E’ la felice mescolanza fra la storica capacità di resistere e la generosità di buttarsi in avanti alla garibaldina, ma ben organizzati.
Certo, che la Uefa abbia promosso l’Europeo “itinerante” nel Paese che ha dato il benservito all’Ue, e facendo giocare all’Inghilterra ben 6 partite su 7 in casa, e riempiendo le tribune di 60 mila tifosi senza mascherina e noncuranti del Covid, è scandaloso.
Ma questa Italia di Mancini e Berrettini ha imparato da tempo che lamentarsi delle ingiustizie non è degno dei campioni. Perché di campioni abbiamo parlato in questa favola tricolore tra Wembley e Wimbledon, che ci ha fatto tornare a sognare e a riscoprire che per gli italiani nulla è impossibile, quando affrontano le sfide del mondo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi