Erano divisi quasi su tutto, fuorché sulla necessità di incontrarsi. E allora, anche se il faccia a faccia fra Biden e Putin non può essere considerato una moderna riedizione di quello storico fra Reagan e Gorbaciov nel 1985, e sempre a Ginevra, basta la novità della “prima volta” per dire con realismo, cioè senza enfasi, che s’è finalmente “aperto uno spiraglio”, per citare il presidente russo. E che saranno necessarie “relazioni stabili e prevedibili”, secondo l’auspicio di quello americano. E comunque il dialogo Stati Uniti-Russia riparte all’insegna del “mai una guerra nucleare”. Poteva sembrare scontato, ma di questi bellicosi tempi è già una confortante rassicurazione.
In realtà, Biden ha potuto beneficiare nell’opera di coinvolgere e “riconoscere” Putin, oltre che di un’evidente discontinuità col predecessore Trump, anche del forte sostegno espresso nel recente G7 e nel successivo vertice Nato. Perché tutti in Occidente hanno capito che con Mosca non con le guerre fredde, bensì coi patti chiari e fondati su valori e principi, su democrazia ed economia, ci si deve confrontare. Anche per evitare la paradossale convergenza parallela fra Russia e Cina ai danni dell’Occidente, se un nuovo atlantismo non riuscisse a farsi ascoltare da entrambi i Paesi. E chissà che la stretta di mano fra Biden e Putin, ancor più in epoca di pandemia, non sia un buon viatico per seppellire la ciclica tentazione isolazionista degli Usa e per costruire con paziente serietà un mondo migliore per tutti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi