L’annuncio arriva come un fulmine, ma non a cielo sereno. Nicola Zingaretti si dimette a sorpresa dalla segreteria del Pd. “Mi vergogno che nel partito si parli solo di poltrone e di primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid”, spiega il leader già al contrattacco. Che anche in politica è sempre la miglior difesa.
Dunque, Zingaretti lascia o raddoppia, proprio nel senso di mollare per rilanciarsi, sperando di farsi rieleggere subito, all’Assemblea del 13 marzo? Ed evitando, così, la resa dei conti del Congresso anticipato sollecitato dai suoi avversari interni. E poi: quanto pesa l’ombra di Stefano Bonaccini, il presidente dell’Emilia-Romagna e più accreditato antagonista alla segreteria?
Nell’attesa di capire come andrà a finire, o forse a ricominciare, certo è che il gesto duro e puro di Zingaretti apre e certifica la crisi a sinistra. Una crisi che viene da lontano, e che solo l’emergenza pandemica ed economica con la conseguente necessità di sostenere due anomali governi (prima il Conte 2 poi il Draghi di oggi), aveva finora ricomposto. Né la decisione di Zingaretti avrà ripercussioni sull’esecutivo: sarebbe il contrario della scelta fatta “per amore d’Italia e del partito”. Si chiama fuori per mettere tutti con le spalle al muro.
Da tempo il fuoco amico, che soffia dagli ex renziani e riformisti fino alla sinistra del partito, gli rimprovera passi falsi. Dal ruolo abnorme riconosciuto a Goffredo Bettini, uno che non è neppure parlamentare, alla dimenticanza delle donne Pd quali ministre con Draghi. Dal rapporto in teoria strategico, ma in realtà contraddittorio coi Cinquestelle -al punto che Conte, su cui Zingaretti ha puntato fino all’ultimo, potrebbe ora diventare un temibile sottrattore di voti dalla guida del M5S-, ai balletti sulla legge elettorale. All’indebolito ruolo del partito nella nuova maggioranza con Salvini e Berlusconi, nientemeno.
Molte le accuse della guerriglia interna, interpretata da almeno sette correnti, “lo stillicidio che non finisce”, come denuncia Zingaretti. Mentre nel Pd e fra gli alleati arrivano appelli al segretario da due anni a ripensarci, resta la questione di fondo: che vuol fare il principale partito della sinistra in Italia? Virare verso il populismo pentastellato o ricostruire un più classico centro-sinistra?
Riesplode il tema dell’identità, che neanche il Coronavirus e il governo Draghi di unità nazionale possono più nascondere o dimenticare.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi