La presenza a sorpresa di Beppe Grillo e di Silvio Berlusconi nel conclusivo giro di incontri con Mario Draghi, rivela l’importanza della posta in gioco: sta nascendo un governo di unità nazionale chiamato alla svolta in particolare nei primi e decisivi sei mesi, cioè dall’insediamento -fra pochi giorni- sino alla fine di luglio. Quando scatterà il semestre bianco, che impedisce al Quirinale di sciogliere le Camere e indire il voto anticipato.
Ma questa circostanza temporale diventerà, paradossalmente, una formidabile arma di dissuasione di massa (o sostegno a Draghi o elezioni) che l’ex presidente della Bce potrà far valere, all’occorrenza, per indurre i recalcitranti partiti ad approvare quelle riforme che essi hanno promesso e fallito per anni. E che ora diventano impellenti perché l’Italia presenti all’Europa -entro aprile- il suo piano per la ripresa e ottenga, così, i 209 miliardi di fondi a noi destinati.
Dunque, Draghi ha dalla sua, certo, l’indiscussa competenza per capire come e dove investire quel fiume di denaro in arrivo. Ma ha dalla sua soprattutto il calendario: sei mesi per poter cambiare l’Italia. Con o senza i mal di pancia dei partiti, che saranno costretti a fare buon viso a cattivo gioco, non potendo mandare all’aria l’opera dell’esecutivo con le solite manovre di Palazzo o con provvedimenti a favore del proprio collegio elettorale. Adesso conta la Nazione, non la fazione.
Draghi non avrà difficoltà nel proporre quella politica lungimirante da tutti reclamata, e le cui prime avvisaglie già si intravedono: priorità alla scuola e alle vaccinazioni, investimenti e fisco progressivo, né tassa piatta né aumento delle tasse, economia verde, europeismo e atlantismo, ecco le prime indicazioni a lui attribuite.
D’altra parte, l’intero arco politico (con l’incomprensibile autoesclusione della destra di Giorgia Meloni), non può “porre condizioni” a un personaggio la cui sola, evocata presenza ha già provocato il calo del differenziale come non accadeva da anni. Il mondo ha dato la sua “fiducia”: Camera e Senato faranno altrettanto, al di là dalla composizione tecnica, politica o mista del governo.
Tutti sul carro di Draghi, chi per convenienza, chi per convinzione.
Ma l’unità nazionale è una grande opportunità anche per la politica. Senza l’appoggio maturo e leale del Parlamento, neanche SuperMario può diventare il salvatore della Patria.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi