La cronaca della farsa comincia con l’ennesimo Dpcm del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, -subito seguito da una conforme circolare interpretativa del ministero dell’Interno-, che dispone, per chi arriva dalla Francia, l’obbligo del tampone “nelle 48 ore antecedenti” all’ingresso in Italia. In mancanza di tale attestazione scatta il dovere di sottoporsi a sorveglianza sanitaria e a un isolamento fiduciario per 14 giorni. La novità del tampone fatto all’estero ha ribaltato le precedenti prescrizioni, che imponevano al viaggiatore di farsi l’esame entro tempi rapidi, una volta che fosse giunto a destinazione. Più semplice per un italiano organizzare il suo test anti-Covid in patria, anziché pianificarlo altrove. Ma non è il caso di cavillare. Ora l’epidemia dilaga anche con la “variante inglese”: sia benvenuta ogni stretta per contrastarla.
Mio figlio Francesco, trentenne, è tornato l’altro ieri da Cannes, dove lavora come ingegnere aerospaziale. Si è attenuto, come sempre, alle leggi. Anche quando sono scritte coi piedi e si confondono in fervida successione fra Dcpm, decreti-legge, ordinanze e interpretazioni del Viminale sulla compulsiva azione e decretazione del governo.
E così, giovedì scorso Francesco ha prenotato il suo turno di tampone in un laboratorio a Cannes. Con l’accortezza di farlo 46 ore prima dell’ingresso in Italia (alle 16.50 del 17 dicembre), in modo da poter compensare un eventuale ritardo del treno francese tra Cannes e Ventimiglia -arrivo previso sabato 19 alle 15.08- senza dover discutere coi controllori alla frontiera per pochi minuti di ipotetica discordanza. Oltre al documentato esito negativo, mio figlio portava con sé l’autocertificazione richiesta con la ragione del viaggio: “Rientro presso la propria residenza”.
Inutile sottolineare il tempo, il denaro e le umane preoccupazioni dedicati: arriverà in tempo il risultato del test per mail? E se i controlli a Ventimiglia si dilungano, riuscirò a prendere la coincidenza per Genova Piazza Principe destinazione Roma?
Ma, una volta sceso dal treno a Ventimiglia, nessuno ha chiesto a lui né agli altri passeggeri, italiani e stranieri, il perché dell’ingresso nel Belpaese. Peggio: non c’era un solo poliziotto neanche come figurante. E nella forse più strutturata e successiva stazione di Genova? Nessun controllo neppure lì. D’accordo, bisognerà proprio giungere a destinazione per esibire tampone e autocertificazione. Oltretutto alla stazione Roma Termini alle 23.15 (treno 8591, tredici minuti di ritardo), le autorità preposte potranno lavorare, data l’ora, con tranquillità. Invece niente di niente. Nonostante, in aggiunta, il coprifuoco nel frattempo scattato.
La cronaca di questa beffa va letta tenendo conto di migliaia di cittadini in arrivo alla vigilia dell’Italia presto “zona rossa”. Cioè quando è prioritario il dovere di accertare se chi entra nel Paese per le feste, non ha il virus, prima della grande chiusura.
Con la finta sicurezza dei controlli inesistenti si finisce solo per mortificare chi fa il proprio dovere e per non scoprire né colpire chi, invece, se ne infischia delle regole e dei controlli annunciati in pompa magna in tv. Ma del tutto disattesi nella realtà già al confine d’Italia.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma