L’Italia è andata a referendum 22 volte per rispondere su 72 quesiti. All’incirca ogni tre anni, in media, da quando è nata la Repubblica (a sua volta battezzata da un referendum che archiviò la monarchia).
Da tempo i cittadini sono abituati alla logica stringente del “sì” oppure del “no” agli svariati quesiti su leggi ordinarie o -come quello in arrivo il 20 e 21 settembre- costituzionali che sono stati promossi nei decenni dagli italiani, dai partiti o dagli stessi legislatori proprio come il prossimo caso in questione sul taglio dei parlamentari.
Ma l’unica cosa che non s’addice alla lettera sintetica e allo spirito definitivo del referendum, è il politichese. Quando una domanda è semplice e la sua risposta secca, non basta invocare l’ennesima grande riforma, evocare scenari fantasiosi o litigare sulla Costituzione per mobilitare gli elettori in altre e ben più urgenti questioni coinvolti: Covid 19, riapertura delle scuole, ripresa dell’economia e del lavoro.
Invece i fronti politici che si contrappongono sul tema se sia giusto o sbagliato ridurre di oltre un terzo i rappresentanti del popolo in Parlamento, volano alto su un quesito che suona, al contrario, molto pratico nella percezione delle persone. Persone che non vivono di politica né maneggiano il diritto costituzionale come un domatore il leone, cioè la grande maggioranza dei cittadini chiamati al voto.
Ai quali, anziché prospettare la cupa fine della democrazia rappresentativa da una parte o l’inizio di una radiosa rivoluzione dalla parte opposta, forse bisognerebbe raccontare la più banale verità: se con 600 onorevoli al posto degli attuali 945 l’insostituibile funzione legislativa delle Camere migliorerà o peggiorerà. E poi spiegare l’efficienza delle legislature finora a ranghi pieni, e dire perché mai a ranghi più ridotti, anche economicamente, le cose sarebbero più positive o negative.
Non una contesa ideologica sui massimi sistemi, bensì un confronto pragmatico e documentato sul tema che pone il referendum.
E poi l’interrogativo su “a chi giova?” il sì o il no, i calcoli che maggioranza e opposizione già fanno sugli effetti dell’esito qualunque esso sarà, sono un’altra prova di astrazione.
Trattandosi di un referendum su una modifica costituzionale, il suo risultato resterà scolpito a prescindere dalle convenienze politiche del momento. Né il governo giallorosso né il centrodestra dipendono da una scelta che riguarda il futuro dell’Italia: 945 o 600 parlamentari.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi