Paese dove andrai, confini aperti o chiusi che troverai.
Non poteva essere più caotico il ritorno dell’Unione europea alla libera circolazione in ordine sparso. Solo per le frontiere esterne all’Ue, che resteranno sbarrate fino al 30 giugno, è stato trovato unanime accordo. Ma per gli europei neanche la pandemia sembra aver insegnato ai governi Ue che divisi non si va da nessuna parte, ora che sarà presto possibile tornare a viaggiare sapendo che il virus non è sparito, e perciò bisognerà continuare con le precauzioni e i controlli.
Ma negli Stati regna la confusione: frontiere già aperte, frontiere che apriranno il 15 giugno o forse più in là. In barba all’Unione, ogni nazione sta facendo da sé, con un occhio rivolto al rischio sanitario e con l’altro al vantaggio che se ne può ricavare dal turismo.
La questione della sicurezza è il problema, o l’alibi, che sta inducendo alcune capitali dell’Unione a tergiversare o addirittura a discriminare l’Italia, escludendola dalle aperture invece riconosciute ad altri e non meno confinanti territori. Vienna è diventata l’esempio della burocratica miopia. Dal 15 giugno il Brennero potrà essere attraversato dai tedeschi, ma non dagli austriaci. E c’è pure l’ipotesi di aprire i confini non verso l’Italia intera, ma solo verso alcune delle sue regioni ritenute a minor pericolo di malattia. Il che rasenta la comicità, se si pensa che Vienna apre alla Baviera, dove i contagi sono sei volte superiori all’altrettanto vicina provincia di Bolzano.
Il ministro degli Esteri, Di Maio, chiede “regole uniformi” per il turismo, Conte e Sánchez firmano insieme una lettera italo-spagnola per sollecitare la presidente della Commissione, von der Leyen, alla riapertura dei confini “al più presto e coordinata”.
Anche i giochi delle frontiere in un’Europa indecisa e senza bussola.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi