Non c’è bisogno di scomodare la Costituzione, come ha fatto per mestiere il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, per smontare l’ultima stravaganza pensata fra Sardegna e Sicilia: l’esibizione di un passaporto sanitario da parte degli italiani di altre regioni per visitare quelle incantevoli e sempre accoglienti isole.
Certo, il danno economico e il confinamento a cui siamo stati a lungo sottoposti per difenderci dall’attacco -ancora in corso- dell’epidemia, stanno costringendo le istituzioni a quel che in altri e spensierati tempi di rado facevano: guardare lontano con scelte lungimiranti.
Ma neanche con la più fervida fantasia potremmo oggi auspicare il ritorno ai Granducati o alle inutili dogane sanitarie. Come spiegano gli esperti, neppure l’esito di un tampone negativo certificato sull’immaginario passaporto del viandante, può mettere completamente al sicuro chi riceve quel viaggiatore.
Se c’è un insegnamento della pandemia, è che si vince e si piange insieme. Perfino il continuo e a tratti comico battibecco fra Stato e Regioni su chi è stato più bravo, ha dato buoni frutti. Anche alla politica la competizione fa bene come in economia: la induce a seguire il modello migliore, non importa se ideato dal governo o creato dai governatori. E’ comunque nazionale, cioè d’ispirazione per tutti.
Ecco perché il passaporto per le isole è un’idea bislacca fin dal nome, prefigurando assurde chiusure di frontiere inesistenti, e proprio alla vigilia della generale e prudente riapertura della Penisola.
Non i monologhi stonati di alcuni, ma il concerto di tutti può riportarci alla nuova normalità anche in vacanza. Con le misure indispensabili per tenere a bada la bestia, che fa ancora male. Distanze, mascherine, sanificazione e tanto buonsenso sono il più sicuro passaporto per girare liberi, si spera presto, per l’Italia.
Pubblicato su L’Arena di Verona