In Alto Adige mascherine, multe e movimenti per tutti, nel primo giorno da primi della classe. Dopo due mesi di confinamento come nel resto d’Italia, ma già con restrizioni, a suon di ordinanze, meno stringenti nelle uscite da casa, il ritorno in anticipo degli altoatesini alla nuova normalità rispetto a tutto il Paese ha visto tanta gente per strada. Parrucchieri al lavoro con liste di prenotazioni. Bar, ristoranti, negozi (quest’ultimi da venerdì) riaperti. Come musei e biblioteche. Solo esercizi di catene nazionali attendono il via libera del governo. Una trentina le sanzioni per chi non ha rispettato le misure su consumi e distanze. La prossima settimana toneranno in attività gli alberghi e gli impianti di risalita. Potrà, così, dirsi al completo la riaccensione dell’economia. E’ la ragione principale che ha spinto Arno Kompatscher, il governatore, a fare da bastian contrario e apripista della fase 2, redarguito ma non fermato dal governo nazionale.
La fuga in avanti della mai tanto “autonoma” Provincia di Bolzano rispetto alle prescrizioni uguali per tutti al tempo del coronavirus (prescrizioni che a partire dal 18 maggio avrebbero comunque consentito di differenziare le ripartenze fra Regione e Regione), ha una caratteristica: è l’unica istituzione della Repubblica che è ricorsa alla forza ordinamentale di una legge, anziché a semplici ordinanze.
A fronte del provvedimento provinciale per precedere di appena sette giorni gli effetti che legislazione nazionale avrebbe potuto determinare, il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, ha detto che impugnerà il testo davanti alla Corte Costituzionale. Ma solo “limitatamente alle parti in contrasto con le regole sulla sicurezza del lavoro legate alla mancata soluzione del nodo Inail in assenza dei protocolli di sicurezza”. Un atto impotente: l’impugnazione non sospende l’efficacia della legge provinciale che, in attesa del giudizio della Consulta chissà quando, resta in pieno vigore. Ecco il concreto ed esemplare effetto della nefasta modifica del titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001 e solo oggi, quasi vent’anni dopo, da molti contestata per quanto ha indebolito e svilito il senso dello Stato.
Kompatscher ha spiegato di non essere preoccupato per le mosse dell’esecutivo. E poi la Svp che regna a Bolzano, può puntellare o no la non proprio granitica maggioranza giallorossa a Palazzo Madama.
“Bisogna agire con responsabilità ed essere disciplinati, la parte più difficile arriva ora”, dice il governatore della fase 2 che somiglia alla 3.
Eppure, il ministro Boccia s’era speso di persona, salendo a Bolzano, per convincere Kompatscher a non forzare la mano per tanto poco: una settimana, il sorpasso della Provincia sullo Stato.
Ma lo scontro è sottile. Accanto a considerazioni ragionevoli (Bolzano non si trova nella stessa drammatica condizione di Bergamo o Brescia), non manca il solito puntiglio di contrapposizione vetero-autonomistica. Frutto anche delle notizie di ben maggiori aperture che arrivano dall’Austria e dalla Germania. “Perché loro possono e noi ancora no?”, l’interrogativo sotto la scossa legislativa e ideologica.
Ma la realtà in Alto Adige, cioè in Italia, non è come quella che appare oltre Brennero. Né l’andamento del virus né il modo per combatterlo. Il bollettino di contagi e decessi (290 a ieri) rispecchia, a Bolzano, la tendenza nazionale. E la Repubblica molto ha fatto per aiutare a contenere l’epidemia lassù. Non meritava lo strappo settimanale.
Intanto, con la rivendicazione del motto secessionista “los von Rom” (via da Roma) scritto addirittura col fuoco sulle montagne alla vigilia della passata visita del ministro, anche gli Schützen e indipendentisti affini di formazioni minori hanno detto la loro. Ma quel che vale, oggi, è la legge provinciale che, per il governo, “non s’aveva da fare”.
In tempo di peste e di matrimoni istituzionali in difficoltà non resta che ricordare il Manzoni.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma