Quando un ordine è ragionevole e dato a fin di bene, gli italiani sanno rispettarlo. E ogni riferimento al venticinquesimo giorno consecutivo da reclusi in casa per aiutare i camici bianchi a salvare a qualunque costo gli ammalati da coronavirus, ne è la conferma. “Sono orgoglioso di questa Italia”, ha detto il presidente della Repubblica, Mattarella. E’ sufficiente affacciarsi alle finestre imbandierate per dargli ragione.
Ma adesso che l’epidemia sembra in contenimento, adesso che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, annuncia il “tutti a casa” fino al 13 aprile per non mollare proprio quando si comincia a intravedere un po’ di luce dal tunnel, il rapporto Stato-cittadini si rovescia: ora tocca alle istituzioni ubbidire alla sua gente. Parlando chiaro.
Basta con le disposizioni rese subito confuse dalle “interpretazioni” politiche o burocratiche. Se da casa non si deve uscire, neppure equivoche camminate (entro 200 metri dall’abitazione) dovrebbero essere contemplate. O si spera che i poliziotti girino col metro, se già si fatica a dare loro e a chi di dovere una mascherina?
Basta con le autocertificazioni a raffica, ben quattro, per dichiarare sempre la stessa cosa. Se siamo in giro, è per alimenti o farmaci: la borsa della spesa vale quanto una firma. E poi massima severità con gli irresponsabili e i bugiardi che passeggiano a tradimento.
Rigore, e non cavilli per smontarlo. Scelte univoche e non a fisarmonica: si ascoltino le regioni che più soffrono, Lombardia e Veneto, e che perciò più hanno da insegnare. Il governo affronti l’emergenza con pochi, ma limpidi provvedimenti, anziché sbrodolare con decreti-legge illeggibili e bonus nel caos dei siti istituzionali.
Lo Stato che ora estende i divieti oltre Pasqua, sia all’altezza della serietà dimostrata e che continueranno a dimostrare i suoi cittadini.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi