Sembra un’odiosa barzelletta, invece è pura realtà: porti e aeroporti “chiusi agli italiani”. Squadre di hockey, rugby e pallacanestro che si rifiutano di disputare partite con le nostre. Quarantena imposta ai connazionali per lavoro o in vacanza all’estero. Basta il passaporto tricolore per subìre l’esame del tampone.
Di giorno in giorno aumenta lo scandalo dei Paesi che considerano l’Italia non già l’unica nazione d’Europa che controlla non solo gli ammalati, ma anche i sospetti e gli asintomatici, bensì uno Stato infetto da isolare nel globo. E questa vergogna internazionale avviene nell’assordante silenzio dell’Unione europea, espressione geografica che a parole elogia l’azione italiana contro l’epidemia sorta e sviluppatasi a Wuhan, cioè in Cina, ma che sotto il profilo istituzionale nulla fa per affiancare e condividere lo sforzo dei nostri medici e ospedali. Per dire alto e forte agli Stati che sbarrano la frontiera agli italiani per il solo fatto d’essere italiani: è vietato discriminare.
“No a paure irrazionali”, ammonisce il presidente Sergio Mattarella. E ricorda: la conoscenza è antidoto contro infezioni e pregiudizi.
Certo, non è colpa del destino cinico e baro, se il mondo all’improvviso ci evita. Non è responsabilità solo di chi, magari anche per misero calcolo strategico-economico (vedi alla voce “turismo”), trasforma una delle nazioni più amate dell’universo in un lazzaretto immaginario: tutte le strade non portano più a Roma.
La comunicazione e i pasticci della nostra politica, l’idea di un Paese al coprifuoco e nel panico, finiscono per alimentare l’altrui rifiuto-choc.
Il governo e le istituzioni devono reagire con fermezza, imparando anche una lezione: a volte s’avverano quei sogni ricorrenti di chiudere i confini. Ma a nostro esclusivo danno.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi