Se c’era bisogno di un esempio concreto della distanza fra il Palazzo e la società, eccolo fornito dal Senato: mentre nell’aula chiamata a votare la fiducia sulla legge di bilancio esplode il caos per una norma destinata a liberalizzare la vendita della cannabis leggera -norma dichiarata inammissibile dalla presidenza-, l’Istat rivela che, negli ultimi dieci anni, 816 mila italiani se ne sono andati all’estero.
Da una parte la politica s’infiamma su un tema di pura ideologia e tutt’altro che prioritario nella scala dei bisogni, e anche dei valori, dei cittadini. Dall’altra i giovani non sanno che farsene delle contese fumose fra legislatori ma, cercando lavoro dopo aver compiuto lunghi, sudati e spesso pregevoli studi, se ne vanno in silenzio dall’Italia per realizzare i loro sogni altrove. O per trovare quelle opportunità negate da una patria della quale i suoi onorevoli rappresentanti si scannano per rivendicare o contestare il diritto commerciale alla droga leggera.
Sono due facce della stessa realtà, ma la ricerca dell’Istat è impietosa: nessun dubbio che a emigrare siano soprattutto gli appena laureati o i diplomati ormai sfiduciati (oltre il 73 % dei fuggitivi ha 25 anni e più), né che prevalga un’istruzione medio-alto in chi è partito.
Non solo cervelli che fuggono, dunque, circostanza già amara di per sé, ma lo specchio di una generazione stanca di promesse e pronta a osare nel mondo, visto che nella propria nazione non si può.
Se ne vanno in particolare dalla Lombardia, dal Veneto e dalla Sicilia. Via da Roma e Milano, da Torino e Napoli alla ricerca di un’intraprendenza che non può attendere i tempi biblici della politica o i mille cavilli della burocrazia.
Eppure, al Senato, che ha dato via libera alla manovra, va in scena la rissosa e accademica discussione sulla cannabis in contemporanea ai dati Istat, che svelano pure un calo del 17 % degli arrivi dall’Africa. Più emigrati e meno immigrati, una vera questione nazionale da discutere: che cosa vuol fare l’Italia da grande.
Intanto, è polemica sul salvataggio della Banca Popolare di Bari, mentre il governo porta a casa il maxi-emendamento alla “manovra salva-Italia” -così la chiama-, con le richieste della maggioranza e della Ragioneria. Senza che l’opposizione cambi il giudizio negativo sulle 5 nuove tasse (plastica, zucchero, auto aziendali, vincite alla fortuna e addizionale Ires per i concessionari) che pagheremo nel 2020.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi