L’ultima fotografia del Censis ritrae un’Italia in chiaroscuro: a fronte di un reddito netto medio delle famiglia italiane che nel 2017 è stato di 31.393 euro, crescendo del 2,6 %, si registra una diseguaglianza in aumento fra chi sta meglio e chi sta peggio.
Le entrate delle famiglie più benestanti risultano essere sei volte quelle dei nuclei più poveri. Se poi a questo divario s’aggiunge il dato, stabile anche nel 2018, che a rischio povertà sarebbe un quinto della popolazione residente in Italia, cioè oltre 12 milioni di cittadini che portano a casa 842 euro al mese, ecco venir fuori la vera insidia economica e sociale per tutti: il pericolo che il ceto medio, l’autentica e storica spina dorsale del nostro Paese, perda il suo ruolo trainante, compresso sempre più fra chi avanza spedito e i molti che inseguono da lontano senza riuscire a tenere il passo.
Una differenza -avverte l’Istituto di ricerca-, che si estende anche geograficamente, se si pensa che la percentuale più alta di persone sotto minaccia di povertà e di esclusione sociale si avverte nel Mezzogiorno (il 45 %). E a soffrire maggiormente sono le coppie con tre figli o più. Quasi un paradosso in un Paese in difficoltà anche per aver da tempo raggiunto, e non ancora invertito, uno degli indici di natalità più bassi al mondo: appena 1,2 figli per coppia.
Ce n’è quanto basta per aspettarsi una legge di bilancio che vada in controtendenza rispetto alle solite manovre da quieto vivere, ossia una legge finalmente capace di scuotere e accompagnare l’intraprendenza del ceto medio. Non solo per un’elementare esigenza di riequilibrio sociale e di ricchezza maggiormente diffusa.
Perché la piccola crescita rilevata due anni fa, è pur sempre molto al di sotto della situazione di appena dieci anni prima, nel 2007: la perdita in termini reali è stata dell’8,8 % per reddito familiare.
Da allora in poi un distacco notevole che, guardacaso, ha coinciso con l’indebolimento graduale, ma costante, della classe media, tartassata e spesso ostacolata nella sua operosità da una burocrazia inefficiente.
Al contrario, è proprio lo spirito d’iniziativa che una finanziaria deve saper sollecitare per cambiare la rotta e sanare le diseguaglianze.
Ma, per incoraggiare i ceti produttivi, non basta evitare l’aumento dell’Iva né dare il segnale che si tassano -non importa se poco o tanto- la plastica, lo zucchero e le auto aziendali.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi