In queste ore forse solo Boris Johnson, nel labirinto della Brexit, cioè dove l’incertezza regna sovrana, se la passa peggio di Giuseppe Conte.
Al nostro presidente del Consiglio sono arrivate varie richieste di “chiarimento”, parola insidiosa che riporta alla prima Repubblica e alle sue rituali “verifiche” tra gli alleati di governo: non un bel segnale, tantomeno per un esecutivo insediatosi da appena un mese e mezzo.
Il primo e per certi versi sorprendente richiamo per Palazzo Chigi giunge dall’Unione europea, che pure aveva manifestato maggiori aperture per l’esecutivo giallorosso di quelle riservate al precedente, troppo influenzato dal populismo di Matteo Salvini.
Invece Bruxelles ora chiede chiarimenti, appunto, sulla bozza della legge di bilancio presentata nei giorni scorsi da Roma.
Ieri sera comunque il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al decreto fiscale. La tensione era alta anche per le dissonanti prese di posizione di Luigi Di Maio, leader della principale forza del quadripartito, sulla manovra anche da lui avallata al Consiglio dei ministri. Con la fatale scia dei reciproci sospetti fra Conte e Di Maio.
Il dubbio e il gelo hanno portato al faccia a faccia tra i due, prima degli incontri bilaterali del premier con le forze della coalizione e del vertice di maggioranza. Altro passaggio imprevisto e impervio per rispondere al doppio assalto -pentastellati da una parte, renziani dall’altra-, sulla manovra approvata “salvo intese”. Mai formula fu così azzeccata.
Di Maio ha dato battaglia a sostegno del carcere per i grandi evasori, norma sulla quale ieri sera è arrivata l’intesa, e contro l’”accanimento sui commercianti, i professionisti e le partite Iva”. L’applicazione obbligatoria di sanzioni sui pos sarebbe, inoltre, stata posticipata al luglio del 2020, nell’attesa di un accordo sull’abbassamento dei costi delle commissioni delle carte di credito.
Matteo Renzi, rinfrancato dalla Leopolda che ha suggellato il suo nuovo ruolo da leader di Italia Viva -non più da scissionista del Pd-, va invece a testa bassa contro quota 100 e la tassa sulle bevande zuccherate. Corre ai ripari il leader del Pd, Nicola Zingaretti, invitando tutti alla responsabilità, e avvertendo: gli italiani non sono stupidi. “Bisogna rispettare gli accordi, altrimenti sarà rivolta”.
E’ proprio la rivolta politica ciò che il centrodestra invoca sull’onda del prossimo voto in Umbria, interpretato come una possibile spallata contro “il governo abusivo” per tornare, presto, alle urne.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi