Per far digerire il rospo, la faccia ce l’ha messa lui, Giuseppe Conte.
Con una diretta Facebook il presidente del Consiglio ha spiegato agli italiani, ma soprattutto al popolo dei Cinquestelle, perché la Tav si farà: non realizzarla costerebbe di più che portarla a termine.
Conte non era affiancato né da Luigi Di Maio né da Matteo Salvini, i vicepresidenti del Consiglio dalle idee contrapposte sull’opera. Tanto ostile il primo quanto favorevole il secondo. Ma non importa, perché il messaggio trasmesso è chiaro: la sintesi fra tesi e antitesi l’ha hegelianamente tracciata e annunciata il premier, che con la scelta sulla Tav si candida a diventare sempre più un protagonista e sempre meno un presidente-ombra dell’esecutivo gialloverde. “L’interesse nazionale è l’unica stella polare che guida questo governo”, ha ammonito. E anche qui si coglie il senso della svolta politica che Conte intende far valere rispetto ai suoi due alleati di riferimento, Di Maio e Salvini: oltre le fazioni decido io in nome della nazione.
La scusa trovata per rompere gli indugi fin troppo a lungo durati è temporale. Siccome entro venerdì il governo dovrà dare una risposta definitiva all’Unione europea sul balletto intorno alla Torino-Lione, Conte dice che, a questo punto, soltanto una legge del Parlamento (piccolo dettaglio: a grande maggioranza già schierato a sostegno della nuova linea ad alta velocità), potrebbe modificare il corso degli eventi. Eventi che oggi poggiano su due dati di fatto: la Francia ha appena confermato che non tornerà indietro, come molto ingenuamente forse speravano, ancora, gli artefici del no. Dunque, ostacolare la realizzazione, oltretutto già in corso, della Tav, non troverebbe la compiacenza, ma la contrarietà dell’altra parte impegnata nell’infrastruttura. L’Europa, inoltre, aumenterà lo stanziamento dal 40 al 55 per cento, facendo risparmiare un bel po’ di soldi all’Italia per la grande opera. Sommando l’irremovibilità di Parigi con il denaro di Bruxelles le condizioni sono mutate rispetto al “non credo che l’opera serva all’Italia”, come il premier filosofeggiava pochi mesi fa. E come lui stesso ora ricorda per dare fondamento alla marcia indietro.
Ma il meglio tardi che mai apre già un caso fra i pentastellati: il no alla Tav è un loro caposaldo. Ora, invece, il governo va in altra direzione. O meglio, ci va Conte il temporeggiatore che diventa decisionista, togliendo le castagne dal fuoco e ritagliandosi un ruolo nuovo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi