Finora la politica sui migranti li aveva visti divisi e polemici. Da una parte Elisabetta Trenta, alla guida della Difesa, che era contraria all’uscita dell’Italia dalla missione europea Sophia, fra l’altro comandata da un generale italiano. Prevedeva l’uso di navi militari per pattugliare il Mediterraneo. Dall’altra Matteo Salvini, che dal Viminale considerava “dannosa e inutile” tale missione (poi sospesa per la parte riguardante l’attività marittima) perché, secondo il ministro dell’Interno, quell’iniziativa “recuperò decine di migliaia di immigrati e li portò tutti in Italia”. Lui punta, invece, su una più severa tutela della sovranità nazionale per arginare arrivi continui e incontrollati.
La prima accusa il secondo anche di parlare molto sui social, ma poco a livello istituzionale, cioè di non comunicare con lei. A sua volta Salvini replica, senza nominarla, che la Trenta “è un po’ nervosetta”.
Chissà se il litigio di governo ha trovato una compensazione nella riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica che, per affrontare i flussi, ha adottato nuove misure d’intesa tra i vertici delle Forze dell’ordine, della Marina militare e della Guardia costiera.
Saranno schierate le navi della Marina e della Guardia di Finanza a difesa dei porti italiani. E si annunciano accordi rinnovati con Libia e Tunisia per fermare i barconi prima che lascino le acque territoriali degli Stati da cui partono. Una decina di motovedette verranno consegnate alla guardia costiera libica e trattative diplomatiche saranno aperte con Tunisi per richiedere analoghi interventi.
Queste novità sono il frutto di almeno due circostanze: la sempre più insidiosa instabilità in Libia col rischio, balenato dallo stesso governo legittimo di Fayez al-Sarraj a Tripoli, di una devastante crisi umanitaria con migliaia di persone costrette alla fuga via mare per salvarsi dall’offensiva armata scatenata dal generale guerrafondaio di Bengasi, Khalifa Haftar, e condannata anche dall’Onu. E poi la realtà di sbarchi continui e senza riflettori, a prescindere dalle contestate e spettacolarizzate iniziative delle Ong. Porti chiusi o no, l’esodo dall’Africa è incessante. Solo nuove strategie europee, a cominciare dalla revisione del controverso regolamento di Dublino che impone ogni obbligo al Paese di prima accoglienza (di fatto un dovere dell’Unione delegato alla sola Italia), possono portare a un cambiamento giusto, realistico e da tutti condiviso.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi