Nella desolante commedia dell’ipocrisia alla quale l’Europa sta relegando la vicenda della Sea-Watch, il governo olandese s’è guadagnato la ribalta. E’ vero, la nave batte la nostra bandiera -conferma la ministra Ankie Broekers-Knol-, “ma non siamo obbligati a prendere i migranti”. Da notare che tale rappresentante guida proprio il dicastero per le Migrazioni.
Raramente il cinismo di un esecutivo europeo s’era spinto a tanto, cioè a dire con chiarezza che, pur rivendicando l’appartenenza dell’imbarcazione che dal largo della Libia è giunta al largo di Lampedusa con quarantadue persone a bordo soccorse, di questa umanità sofferente e implorante non intende -salvo ripensamenti- farsi carico. Né risulta che Bruxelles, sempre pronta a immolarsi sui conti degli altri -e a immolarsi con compiacimento sui bilanci di Roma-, abbia preso un calcolatore per scoprire che, quarantadue disperati diviso per le ventisette e benestanti nazioni dell’Unione, significa un migrante e mezzo per ciascuno. Significa risolvere in tre minuti una crisi che dura da tredici giorni nell’indifferenza di tutti i grandi ragionieri e mediocri leader del continente.
Ma sì, che se la sbrighino gli italiani, chi se ne importa del Mediterraneo, dell’Africa, di un esodo per fame, miseria, guerra o pura e semplice convenienza (è forse un reato sperare di migliorare la propria vita?), destinato a durare per anni e anni ancora. O lo si governa con rigore e compassione, o ci travolgerà. Nessun muro come quelli già alzati altrove, nessuna illusione di porti chiusi o di parole grosse tipo quelle che volano fra i nostri politici pro o contro la linea dura del governo e di Matteo Salvini potranno regolare il fenomeno dell’immigrazione senza una consapevole e unitaria strategia dell’Europa.
Ma qui, tra i miopi di Bruxelles, la credenza è che, voltare le spalle a chi scappa e all’Italia che esige l’aiuto di tutti gli europei, sia l’unico modo per salvare la pelle. La propria pelle, posto che della pelle altrui, e degli appelli altrui, cioè italiani, non sanno che farsene.
A prescindere da come finirà la vicenda della Sea-Watch -si spera bene per tutti e presto, ma nel rispetto della legge-, essa fotografa al meglio il peggio: la cattiva coscienza di un continente che sta perdendo la principale ragione che lo tiene insieme. E che si chiama solidarietà.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi