Se solo imparassimo ad alzare lo sguardo oltre ogni campanile, scopriremmo che in questo momento nella metà dei teatri di tutto il pianeta si stanno rappresentando opere italiane cantate in italiano. Con la prima de La Traviata, ultimo allestimento firmato da Franco Zeffirelli e musicato da Giuseppe Verdi -due geni dell’Italia in un colpo solo-, Verona torna a coltivare la sua vocazione internazionale. E non soltanto per la trasmissione in mondovisione dell’evento all’Arena, il mai così antico e imponente anfiteatro romano che si proietta, con moderna “forza del destino”, verso l’universo.
E’ proprio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a suggellare con la sua presenza istituzionale questa unicità italiana che sa mescolare arte e architettura, melodie e creatività, memoria (di Zeffirelli) e futuro per donarli al mondo.
Certo, sono tante le cose che non funzionano nel nostro amato eppur così bistrattato -ma solo da noi italiani- grande Paese. Il nostro attaccamento alla nazione frutto non delle armi, ma di una bellissima lingua millenaria che nel corso del tempo ci ha fatto “incontrare”, è inversamente proporzionale al disagio che invece proviamo per lo Stato inefficiente e incapace di interpretare la ricchezza della società.
Ma è proprio l’eccellenza, è il racconto della bellezza dell’animo, dei luoghi e dei paesaggi che condividiamo col mondo a poterci dare la spinta per riuscire, un giorno, a coniugare l’amore dei cittadini per l’Italia con una classe dirigente che abbia il senso delle Istituzioni e anteponga l’interesse nazionale alle sue miopie e faziosità.
Anche qui ci viene in aiuto Mattarella. Il quale, nella veste di presidente del Csm, usa parole dure contro il desolante spettacolo che emerge da inchieste (e polemiche) che vedono tirati in ballo alcuni giudici. “Quadro sconcertante e inaccettabile”, denuncia il capo dello Stato. “Ora si volta pagina. Quanto è avvenuto ha prodotto conseguenze gravemente negative per l’intero ordine giudiziario”.
Se il risveglio italiano ricomincia da Verona, è questa funzione di garanzia, cioè il presidente chiamato a dire pane al pane quando la misura è colma, che deve sollecitare anche la politica a riscoprire quella rettitudine, quel senso di appartenenza e quel talento rinascimentale che è il nostro tesoro universale. E che il mondo associa, con dolcezza, al canto del belcanto.
Pubblicato su L’Arena di Verona