Nell’ora, puntuale, del litigio, non si fanno mancare niente. Come se il caso-Siri e il salva-Roma, la Tav e le priorità per l’economia, i rapporti con la Cina e i porti aperti o chiusi per gli sbarchi dei migranti non rappresentassero già un continuo braccio di ferro tra Cinquestelle e Lega, ecco il nuovo e ultimo motivo di scontro: il destino delle Province, la più antica istituzione d’Italia. Che era stata cancellata. O forse no: a forza di sentir parlare di riforme (un ritornello inaugurato nel tardo-autunno 1983 con la Bicamerale-Bozzi e accompagnato, nel tempo, da svariati referendum abrogativi e costituzionali e leggi elettorali in successione), alla fine la gente non ricorda più che cosa sia realmente cambiato nell’ordinamento.
“Non si può discutere sempre su ogni cosa, per me le Province si tagliano, ogni poltronificio deve essere abolito”, ammonisce Luigi Di Maio, a fronte della notizia del loro rilancio previsto nelle linee guida della riforma degli enti locali. Si tornerebbe a eleggere presidenti e consiglieri, come prima della riforma-Delrio.
Opposta l’opinione dell’altro vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, che dice: “L’abolizione delle Province è una buffonata di Renzi, che ha portato disastri soprattutto nelle scuole e alle strade. Io voglio che in tutta Italia ritornino condizioni normali”.
Salvini si riferisce alle funzioni che non riescono a svolgere i Comuni e che non spettano alle Regioni, in particolare i servizi da assicurare agli edifici scolastici malmessi e alle strade malconce. Di Maio punta, invece, a eliminare sprechi, destinando le risorse risparmiate alle famiglie e alle imprese. Ma, come succede quando la voglia della polemica prevale sulla realtà dei fatti, entrambi raccontano solo una parte della storia. Perché, nel concreto, le competenze e il personale adibito alle Province è stato o sarà distribuito ad altri enti pubblici. Per cui l’un tempo ambìta (da tutte le forze politiche, per la verità), abolizione delle Province per risparmiare denaro pubblico, tagliare enti inutili e ridimensionare i costi della politica, di fatto ha cambiato ben poco. E alle scuole e alle strade non si capisce più chi debba istituzionalmente dedicarsi. Un pasticcio che andrebbe affrontato con ragionevolezza dal governo e dal Parlamento, invece che essere trasformato nell’ennesimo tiro alla fune tra vicepresidenti già in campagna elettorale di Provincia in Provincia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi