Per capire la portata del Documento di economia e finanza -detto Def- approvato in appena trenta minuti dal Consiglio dei ministri (ma dopo varie riunioni e svariate polemiche alla vigilia), basta osservare le reazioni dei principali protagonisti del governo giallo-verde: nessun trionfalismo, niente rivendicazioni di svolte più o meno storiche.
Solo la classica rassicurazione che non si prevedono nuove tasse né manovre correttive. E l’impegno sussurrato a trovare risorse per disinnescare il temibile aumento dell’Iva.
Dunque, si confermano i programmi dell’esecutivo previsti nella legge di bilancio “e il rispetto degli obiettivi fissati dalla commissione Ue”, come precisa una nota di Palazzo Chigi, anch’essa scarna e priva di aggettivi che possano far comprendere se, alla fine, la tassa piatta tanto cara sia a Matteo Salvini che a Luigi Di Maio, si farà realmente. Ma, soprattutto, se si farà secondo l’impostazione del vicepresidente del Consiglio leghista, che vorrebbe due sole aliquote del 15 e 20 per cento per ridurre drasticamente l’imposizione fiscale tra le più alte in Europa. Oppure se questa tassa unica e migliorativa promessa ai tartassati contribuenti d’Italia, non dovrà riguardare i cittadini ricchi, secondo la volontà del vicepresidente del Consiglio pentastellato. Certo è che in questa diatriba a metà fra il liberismo e Robin Hood, l’esito della tanto decantata “flat tax” è presto detto: nel Def si prevede una “graduale estensione” del nuovo regime d’imposta partendo dai redditi più bassi. E riformando, al contempo, deduzioni e detrazioni. Insomma, il governo la sua decisione l’ha presa. Ma sul come, sul quanto e sul quando attuarla (nell’arco dei prossimi quattro anni, in ogni caso), le interpretazioni sono libere. Giusto per consentire a Salvini e a Di Maio di poter entrambi assicurare d’aver ottenuto quel che volevano, e che non era la stessa cosa. Anche se i due concepiscono tale riforma “nell’interesse del ceto medio”.
Per ora anche la tassa piatta, al pari di “quota 100” e del reddito di cittadinanza, saranno antipasto della campagna elettorale del 26 maggio: alle Europee, più che all’economia, i due contendenti sembrano guardare nel breve periodo. Manca, infatti, quella scossa da molti invocata per un cambiamento strutturale dello scenario economico, che ormai si misura a colpi di zero virgola in termini di prodotto interno lordo per quest’anno e per il prossimo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi