Il voto della Basilicata, settima Regione di fila che il centro-destra strappa al centro-sinistra all’insegna dell’effetto-Salvini, dà una scadenza al famoso contratto di governo: 26 maggio. Sarà il verdetto delle Europee in arrivo a stabilire se la maggioranza giallo-verde avrà ancora la bussola per continuare la navigazione. L’anomala coalizione fra chi sale, la Lega, e chi scende, i Cinque Stelle, un’elezione amministrativa dopo l’altra, dovrà rifare i conti dopo quelli che il 4 marzo 2018 la forgiarono a Palazzo Chigi per mancanza di alternative.
Da allora anche le ultime votazioni nel Sud confermano l’orientamento che si registra nel Nord e che, con il contestuale voto del Piemonte a maggio, potrebbe diventare la realtà, senza precedenti, dell’intero Settentrione: Matteo Salvini col timone dell’alleanza di centro-destra sempre più in mano e Luigi Di Maio, l’altro vicepresidente del Consiglio e antagonista, che non riesce a tenere l’onda d’urto.
Perché se è vero che anche a Potenza e dintorni i pentastellati diventano il primo partito col 20 per cento, il risultato li vede quasi dimezzare i consensi rispetto alle politiche e arrivare al terzo posto nella corsa per il governatore, vinta da Vito Bardi col 42 per cento.
E’ il candidato del centro-destra che archivia ventiquattro anni di centro-sinistra. Ma il partito di Di Maio è stato scavalcato anche dall’alleanza perdente sostenuta dal Pd. E tale competizione per il secondo posto già prefigura quale sarà la sfida delle Europee: se i Cinque Stelle diventassero la terza forza italiana a Strasburgo, pur governando a Roma da prima forza, sarebbe arduo per l’alleato leghista e per tutti ignorare un simile cambiamento nel Paese.
“Non vado all’incasso, orizzonte di quattro anni per il governo”, frena Salvini, che può continuare a trarre beneficio dal far parte di un governo in cui oggi è minoranza, eppure comanda grazie al consenso collaterale degli italiani di voto in voto. Ora confermato dal “7 a 0”, come ha definito le vittorie da lui trainate a danno del centro-sinistra.
Fino a quando, dunque, i Cinque Stelle potranno far valere l’indebolita forza del contratto con tutti i nodi irrisolti, oltretutto, dalla Tav in giù? Intanto, regna anche la lunga attesa nel Pd di Nicola Zingaretti, chiamato a decidere che cosa vuole fare da grande: se accontentarsi di inseguire il vincitore o provare a prenderne il posto con un’identità riconoscibile e idee popolari nell’era populista.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi