Mai gli abitanti del Regno Unito si sono sentiti così europei come da quando, tre anni fa, votarono per la Brexit. Allora fu il 51,9 per cento degli elettori, cioè una maggioranza risicatissima, a dire addio all’Unione. Ma ieri, e proprio alla vigilia di abbandonare per sempre il Continente al suo destino (entro il 12 aprile l’Europa esige l’atto formale del divorzio dalla Gran Bretagna), una manifestazione imponente di oltre un milione di cittadini ha riscoperto, a Londra, la nostalgia per un’Europa non ancora abbandonata. In un’atmosfera da ultimi giorni di Pompei, e sostenuti da più di quattro milioni e mezzo di firme raccolte per promuovere un secondo referendum, ora e da tempo una parte rilevante della nazione si mobilita per il ripensamento. E accade mentre alla Camera dei Comuni regna il caos sulle ipotesi di uscita (morbida e graduale oppure radicale e alla cieca?), proposte dal governo di Theresa May e via via impallinate dai parlamentari in un gioco trasversale fra chi accusa la premier di aver ottenuto troppo poco nelle trattative per recedere dall’Unione e chi, al contrario, teme una rottura senza rete. In pratica, a mano a mano che s’avvicina l’ora X, sia la classe dirigente, sia la popolazione appaiono sempre più incerte sul da farsi. E quelli che hanno le idee più chiare e risolute, le manifestano in piazza per “un nuovo voto popolare”.
Nell’attesa di capire quel che nemmeno i britannici riescono davvero a capire, cioè come finirà, all’evento di Londra farebbero bene a guardare tutti gli anti-europeisti dell’Unione per reale convinzione o moda del momento: ecco che cosa può succedere quando l’addio si materializza sul serio e la gente comincia a sentirne gli effetti sulla propria vita. Che, nel caso dell’isola oltre la Manica, significa rischio di perdere il benessere conseguito per i britannici, e per i molti altri europei invogliati a lavorare e a vivere nel Regno Unito.
Perché la verità su quanto Bruxelles sia diventata un fortino chiuso e insensibile rispetto ai bisogni e ai sogni degli europei, non può trasformarsi nell’alibi masochista per buttare giù tutto. Se un’altra Europa è auspicabile, nessun auspicio può fare a meno dell’Europa.
E’ questa la lezione che proviene proprio dalla patria che di fatto e di diritto, e per storia orgogliosa, ha individuato nell’anti-europeismo il suo nuovo futuro. Ma che adesso protesta e invoca di tornare indietro, prima che sia -e forse già lo è- troppo tardi.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi