Contrordine, i negozi avranno ancora la facoltà di restare aperti la domenica. Il testo con cui il governo intendeva cancellare la liberalizzazione introdotta dall’esecutivo-Monti nel 2011, ha subìto così tanti scossoni, cioè cambiamenti, nella commissione parlamentare preposta, che il relatore leghista, Andrea Dara, ha deciso di ricominciare daccapo. E già aveva cercato di riassumere ben sette orientamenti diversi su un tema che, nel mondo che cambia, poco si presta alla puntigliosa regolamentazione.
Certo, “domenica è sempre domenica”, come ricordava una canzone tanti anni fa. Ma le abitudini della gente, le esigenze del lavoro, la stessa idea della giornata di festa -non importa se per andare a messa o per passeggiare-, tutto è, da allora, profondamente diverso. Difficile immaginare di poter regolare a colpi di cartelli “oggi chiuso” il conflitto in corso da tempo fra i grandi e vitali centri commerciali e i piccoli negozi sempre più soccombenti a fronte di tale concorrenza.
E’ chiaro che spetta alla politica affrontare l’amara realtà che ha portato alla rottura d’ogni equilibrio nel settore fra maxi e mini. Ma, abolendo o riducendo al minimo l’attività commerciale di domenica, non si comprende come possano rilanciarsi i piccoli esercizi d’incanto.
La battaglia per chiudere i negozi quel giorno della settimana è targata Cinque Stelle, e ripropone esempi di altri Paesi europei. Essa trova consensi e dissensi in modo trasversale, come testimonia proprio il tutto da rifare appena sancito alla Camera dei deputati.
Tuttavia, per andare avanti nell’era globale, non è buona ricetta tornare indietro. Tornare al pre-2011 con una scelta dirigista che mal si concilia col bisogno di apertura insito nel concetto stesso del commerciare. Senza poi dimenticare gli investimenti nel settore, i lavoratori impiegati, le persone che hanno lavorato per sei giorni e magari al settimo vorrebbero poter anch’essi usufruire delle opportunità commerciali. Senza dimenticare le scelte delle famiglie.
La possibilità di aprire l’esercizio oppure no, e di visitarlo di domenica oppure no è molto “pratica”. Ma la teoria della chiusura o della forte limitazione introduce un obbligo che suona anacronistico. E non garantisce benefici per l’economia di tutti né per la felicità dei singoli.
Libera spesa in libero Stato. Almeno fino a miglior prova contraria.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi