Un voto regionale è solo un voto regionale. Ma l’esito delle elezioni in Abruzzo conferma la tendenza delle tornate amministrative che si sono succedute dopo il voto politico del 4 marzo 2018. E rispecchia anche le indicazioni dei sondaggi a cui s’affidano i partiti di continuo.
Perciò, in attesa delle europee di maggio, che saranno il vero banco di prova per la tenuta del governo e la durata di una così particolare legislatura (non si dimentichi che la maggioranza alla guida del Paese non è frutto delle elezioni, bensì di un compromesso politico fra rappresentanza e governabilità), gli equilibri sono intanto cambiati.
Il centrodestra vincitore d’Abruzzo col 48 per cento è a trazione leghista. I consensi degli italiani per il movimento di Matteo Salvini -ma soprattutto per lui, “il capitano”, come si fa chiamare-, sono tre volte quelli raccolti da Forza Italia e da quel che resta del berlusconismo. Con la destra di Giorgia Meloni ormai radicata (Marco Marsilio, il nuovo governatore, ne è espressione), ma schierata a fianco di Salvini con percentuali da forza di testimonianza. E quindi mai per lui, leader di fatto e da tempo della coalizione, concorrenziali.
A fronte di una Lega partito sempre più “pigliatutto” sul suo versante, i Cinque Stelle (20 per cento, la metà delle politiche) non tengono il passo. Anzi, sono stati scavalcati dal 31 per cento di un centrosinistra non più rientrante alla guida della Regione. E che rimane, a sua volta, a trazione Pd. Di un Pd, però, molto ridimensionato, privo ancora di una leadership condivisa e in balìa delle solite beghe, ideologiche e personali, delle quali la sinistra è maestra nel farsi male da sé.
Dunque, niente è più come prima. Ma la Lega non ha interesse a far ricadere la sua consolidata ascesa sul governo. Neanche un rimpasto, ha precisato Salvini con inusuale prudenza. Difficile, poi, immaginare che i pentastellati, in parte sofferenti e insofferenti per un’alleanza che premia solo la Lega, rimettano in discussione la loro anomala maggioranza, nella quale essi contano più di tutti.
Tuttavia, sull’onda dei non pochi temi importanti che li dividono, il rischio è che Salvini e Di Maio finiscano per anticipare la campagna elettorale, anziché governare. Indotti a ciò anche da un centrodestra che si sente col vento in poppa, e da un centrosinistra che guarda ai delusi dai Cinque Stelle. Alzeranno tutti la voce, per influire sul verdetto europeo che non perdona.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi