Se ogni limite ha una pazienza, come amava dire Totò, il cantiere piemontese di Chiomonte è diventato l’ultima frontiera d’ogni politica ed economica sopportazione. Matteo Salvini va in visita in questo luogo della polemica permanente per sostenere le forze dell’ordine a presidio. E per lanciare un monito che, dati i tempi finora perduti, suona come un ultimatum sulla Tav, ormai la tela di Penelope per la maggioranza gialloverde: di giorno si fa a parole -quelle della Lega- ciò che di notte i Cinque Stelle disfano anch’essi a parole in attesa del verdetto costi/benefici. Ma intanto il destino della grande opera resta una grande incognita. “La Tav va finita, toglie un milione di Tir dalle strade”, sottolinea il vicepresidente del Consiglio e leader della Lega in uno stravagante dialogo tra sordi. Perché nelle stesse ore il suo collega e uomo-simbolo pentastellato, Luigi Di Maio, teorizza che lui non andrà sul posto dove s’è invece avventurato Salvini. Lì non c’è nulla da vedere, spiega Di Maio per liquidare la pratica: “Ancora non è stato scavato un solo centimetro del tunnel dove deve passare il treno. C’è un tunnel geognostico che sta andando avanti da anni. Per me il cantiere di Chiomonte non è un’incompiuta: è un mai iniziato”.
Dunque, per l’altro vicepresidente del Consiglio i lavori che vanno a rilento proprio per il conflitto nel governo rispecchiano uno scavo che non c’è, ma che forse c’è: prevale il pirandelliano “così è, se vi pare”.
Tale scontro a distanza sarebbe surreale, se non portasse alle gravi conseguenze della paralisi, come la controparte francese della Torino-Lione non rinuncia a far notare: “Abbiamo investito molti soldi e già scavato diversi chilometri del tunnel. Ora l’Italia acceleri”, esorta la ministra dei Traporti, Elisabeth Borne. Infilandosi a sua insaputa in una diatriba non di opportunità economica e strategica, ma ideologica. Non è in ballo tanto una sfida sul futuro, quanto l’arido presente. I contendenti continueranno a interpretare secondo il proprio punto di vista tutti i dati di questo mondo, ma difficilmente cambieranno idea.
Intanto, la grande opera, frutto di scelte trasversali e più che ventennali, passata al setaccio di commissioni, relazioni, confronti di ogni tipo, langue perché non piace a una parte del governo.
E Giuseppe Conte, presidente del Consiglio e mediator dei mediatori, tentenna a tempo sempre più scaduto su una scelta vitale per l’Italia, che non può fermarsi, mentre l’Europa non aspetta e va avanti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi