Secondo il paradossale, ma elementare assunto che, in tempo di guerra, la pace si fa coi nemici, l’amministrazione di Donald Trump ha aperto un nuovo scenario sull’Afghanistan. Dopo quasi diciott’anni di intervento militare internazionale in quel lontano e sfortunato Paese, resosi necessario per reagire all’attentato terroristico senza precedenti delle Torri Gemelle l’11 settembre 2001, gli Stati Uniti s’appresterebbero al ritiro. In cambio dell’addio alle armi in terra straniera, essi otterrebbero l’impegno dei talebani a cacciare ogni gruppo violento dal territorio e a intavolare il cesate il fuoco con il legittimo, ancorché debole, governo di Kabul.
Dunque, dietro la garanzia che in quella martoriata area geografica, vittima di ogni genere di occupazione, sopruso e povertà, non prolifererranno Al Qaeda, Isis o consimili fanatismi armati contro l’Occidente, l’America di Trump assicura l’indietro tutta delle sue truppe. Se avverrà sul serio (per ora si parla di una “bozza d’intesa” e lo stesso presidente afgano frena), il ritorno a casa degli statunitensi sarà l’anticamera per quello di tutti gli altri soldati della quarantina di nazioni in forze a Kabul e dintorni.
A cominciare dai novecento nostri soldati di stanza soprattutto a Herat (ovest del Paese) e in minor parte nella capitale, per i quali il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, sta valutando un piano di ritiro entro un anno. Notizia di rilievo per la seconda nazione che più contribuisce, dopo gli Usa, alla missione. E che ha avuto 54 Caduti e 650 feriti. Una delle tante presenze per la pace nel mondo all’insegna della professionalità e dell’umanità da tutti riconosciute ai soldati italiani. Eppure, il ministro degli Esteri, Moavero, non sapeva niente del piano e la Lega reagisce col gelo. A fronte dell’entusisamo dei Cinque Stelle.
Per buttare acqua sul fuoco già ardente nella maggioranza, deve intervenire Palazzo Chigi: il premier Conte aveva condiviso tutto.
Ma Trump riuscirà davvero a voltare pagina? Troppe, a oggi, le incognite. Nell’attesa degli eventi, per l’Italia è tuttavia importante che ogni mossa non sia frutto di un capriccio politico né di un calcolo elettorale, ma sia concordata con gli alleati sul campo e condivisa il più possibile anche con le opposizioni in Parlamento.
Se c’è un “interesse nazionale” da perseguire con trasparente unità è quello della missione italiana in Afghanistan, andata e ritorno.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi